La cessazione di un rapporto di lavoro per licenziamento può avere varie cause. Tra queste, la giusta causa prevede la risoluzione immediata del rapporto di lavoro per comportamenti del lavoratore di gravità tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto stesso (come previsto dall’art. 2119 c.c). 

Analizziamo di seguito in dettaglio tutto ciò che è necessario sapere in merito al licenziamento per giusta causa: preavviso, iter, causa oggettiva ed eventuali casi di applicabilità.

Aspetti che configurano il licenziamento per giusta causa

Per licenziare un lavoratore dipendente è necessario che si verifichino alcune circostanze che riguardano innanzitutto la condotta del lavoratore stesso. Questo tipo di licenziamento, infatti, a differenza della cessazione del rapporto di lavoro per giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, prevede non solo casi di gravi inadempienze contrattuali da parte del lavoratore, ma anche fatti esterni di tale gravità (riconducibili direttamente al lavoratore) da minare il rapporto di fiducia sul luogo di lavoro. 

In tali casi, il licenziamo per giusta causa può avvenire senza dare alcun preavviso al lavoratore, purché venga attivato uno specifico procedimento disciplinare che prevede la comunicazione della contestazione in addebito al dipendente stesso. 

Si tratta, in effetti, di una vera e propria sanzione disciplinare nei confronti del lavoratore di cui il datore si può avvalere solo nei casi di inadempienza tale per cui qualsiasi altra sanzione risulterebbe insufficiente a tutelarlo. Tuttavia, a questo proposito, è importante considerare che vi sono limiti ben precisi entro cui stabilire se la giusta causa sussiste o non sussiste. In quest’ultimo caso, il licenziamento verrà considerato illegittimo. 

Di seguito riportiamo alcuni esempi frequenti di licenziamento per giusta causa:

  • Falso infortunio o simulazione di malattia: accertabile in tutti i casi in cui il lavoratore adotti comportamenti che sono non compatibili con la malattia o l’infortunio, o che ne possono rallentare la guarigione; in questa casistica rientra, ad esempio, lo svolgimento di un altro lavoro nel periodo di malattia, o la mancata osservazione delle cautele necessaria per assicurare una pronta guarigione
  • Scorretto uso dei permessi e false timbrature del cartellino 
  • Abbandono ingiustificato del posto di lavoro con possibili ripercussioni sulla sicurezza degli altri lavoratori 
  • Atti di insubordinazione gravi come minacce o insulti o rifiuto di eseguire mansioni affidate dai superiori (come stabilito anche dalla sentenza n. 22152/2014 della Corte di Cassazione)
  • Condotta extra-lavorativa del dipendente penalmente rilevante che faccia venire meno il rapporto di fiducia.

Al contrario, vi sono casi che non concorrono al licenziamento per giusta causa. Tra questi è utile ricordare:

  • gravidanza e maternità (tutelate dalla legge per preservare la funzione familiare della donna ad eccezione dei casi particolari previsti dall’art.54 c.3 lettera a)
  • scarsa produttività dovuta a malattie accertate (secondo l’ordinanza n. 26212, 19 settembre 2015, del Tribunale di Milano, reiterate assenze per malattie costituiscono giustificato motivo oggettivo di licenziamento solo se rendono inutile la prestazione del lavoratore anche durante la sua presenza in azienda. La Corte di Cassazione con sentenza n. 3.876 del 2006 ha stabilito inoltre che assenze anche reiterate e concentrate nelle vicinanze di periodi di vacanze non costituiscono giusta causa per il licenziamento)
  • imperizia tecnica o incapacità del lavoratore.

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