Nel 2013, l’antropologo David Graeber ha coniato l’espressione “bullshit jobs” per indicare quei lavori che, secondo il suo punto di vista, non producono valore reale per la società e che spesso sono percepiti come inutili persino da chi li svolge. La questione non è stabilire se un lavoro sia “utile” o meno - perché ogni lavoro lo è - ma capire in che modo l’Intelligenza Artificiale stia trasformando alcune professioni, spingendo aziende e talenti a ripensare il significato stesso del lavoro.

punti chiave da ricordare:

  • i bullshit jobs, così come teorizzati da Graeber, sono lavori che non producono valore reale per la società e che spesso sono percepiti come inutili da chi li svolge
  • quelli più a rischio - nel contesto odierno dominato dall’AI - prevedono compiti ripetitivi e a basso valore aggiunto
  • le aziende e i lavoratori sono chiamati a ripensare il significato stesso del lavoro, puntando su attività più strategiche, creative e relazionali
bullshit job e AI
bullshit job e AI

che cosa è un bullshit job?

Quando David Graeber introdusse il concetto di “bullshit jobs”, volle mettere in luce un paradosso strutturale del lavoro moderno. Secondo l’antropologo, alcune persone trascorrono la vita lavorativa in ruoli che non producono valore reale per la società e che spesso vengono percepiti come inutili dagli stessi lavoratori. 

Non si tratta di impieghi “inutili” perché semplici o poco qualificati - al contrario, a volte, si tratta di lavori ben retribuiti e di tutto rispetto - ma perché nel complesso, secondo Graeber, non generano un impatto tangibile sul mondo, né migliorano davvero la vita delle persone.

Le cinque categorie di lavoratori che ricadono in questa definizione sono:

  • Flunkies. Lavoratori che vengono assunti per rafforzare l’immagine di manager o leader oppure per trasmettere l’idea che un’organizzazione sia più strutturata di quanto non sia. Un receptionist in un’azienda dove tutti gli ingressi sono già digitalizzati o un assistente che moltiplica la burocrazia intorno a un dirigente sono esempi tipici. Secondo Graber, il valore generato non è nel servizio reso, ma nell’effetto psicologico o simbolico che produce.
  • Goons. Professionisti impiegati per difendere interessi particolari, spesso a discapito di altri. L’antropologo fa riferimento ad attività che, nella migliore delle ipotesi, ridistribuiscono ricchezza senza accrescerla e che, nella peggiore, erodono la fiducia e generano costi per l’intera collettività.
  • Duct Tapers. Lavoratori che intervengono per risolvere problemi ricorrenti generati da organizzazioni o processi poco efficienti. Gestiscono criticità che, idealmente, non dovrebbero esistere se i sistemi fossero progettati meglio. Un esempio sono gli operatori di assistenza clienti che rispondono ogni giorno agli stessi reclami legati a un prodotto difettoso o gli informatici che dedicano gran parte del tempo a correggere bug di piattaforme obsolete. Secondo Graeber, il loro contributo è utile nell’immediato, ma non affronta le cause strutturali del problema.
  • Box Tickers. Professionisti che svolgono attività ripetitive e meccaniche, come compilare moduli, aggiornare tabelle, produrre report standard o verificare checklist di conformità.
  • Taskmasters. Manager intermedi che si concentrano soprattutto sul coordinamento e sul controllo dell’attività dei team, anche quando questi potrebbero lavorare con un buon grado di autonomia (riunioni ripetute, richieste di aggiornamenti costanti, micro-management che soffoca l’iniziativa). Secondo Graeber, sono figure che nascono dalla necessità - spesso solo percepita - di dover esercitare maggiore controllo, ma che nella pratica non portano benefici all’efficienza organizzativa.

I bullshit jobs, secondo Graeber, non danneggiano solo le aziende o i sistemi economici, ma hanno un impatto diretto anche sulle persone, perché rischiano di generare frustrazione, demotivazione e perdita di senso. 

Quello di Graeber è un punto di vista volutamente provocatorio e fortemente critico nei confronti di certe dinamiche del lavoro moderno. Non mira a screditare le persone che quei lavori li svolgono, ma a denunciare inefficienze organizzative, modelli gestionali macchinosi e processi che rischiano di minare produttività e motivazione.

La sua analisi - estrema e da leggere con cautela - offre però uno spunto utile: invita a riflettere sulla necessità di ripensare alcuni lavori, non perché privi di reale valore sociale, ma perché più esposti di altri ai grandi cambiamenti in atto.

Un tema più attuale che mai nel contesto odierno, dominato dall'Intelligenza Artificiale: è innegabile che alcuni lavori, soprattutto quelli che prevedono attività ripetitive e a basso valore aggiunto, siano più vulnerabili di altri all’automazione e richiedano un ripensamento profondo del significato stesso del lavoro.

come le AI stanno distruggendo i bullshit job.

L’Intelligenza Artificiale sta dimostrando che alcuni dei lavori che prevedono mansioni ripetitive, burocratiche o altamente standardizzate possono essere svolti in modo più rapido, preciso e a costi inferiori da un algoritmo.

Un primo impatto evidente riguarda il lavoro amministrativo. L’introduzione di assistenti virtuali, chatbot e sistemi di gestione documentale avanzati riduce drasticamente la necessità di personale dedicato a compiti di segreteria, data entry o smistamento di informazioni. Dove un tempo servivano figure di supporto che gestissero e-mail, agende o richieste di routine, oggi ci sono strumenti di AI per il lavoro in grado di garantire efficienza 24/7.

Anche nelle attività di call center e telemarketing l’Intelligenza Artificiale sta trovando spazio: sistemi automatici sono già in grado di gestire chiamate di primo livello, proporre prodotti e simulare interazioni di base con i clienti. 

L’AI mostra grandi potenzialità anche nel sintetizzare dati, generare report e compilare documentazione standardizzata. In questo senso, la digitalizzazione aziendale non elimina solo le inefficienze: mette in luce quanto ampio fosse il margine di ridondanza nascosto nei processi.

Il dibattito sul rapporto tra Intelligenza Artificiale e lavoro si concentra spesso sulla perdita occupazionale. 

Se si guarda nello specifico ai lavori ripetitivi e a basso valore aggiunto, la loro automazione può diventare un’opportunità. La riduzione di queste attività può aprire infatti lo spazio a funzioni più strategiche, creative o relazionali.

C’è da considerare che, però, per chi li svolge questi lavori rappresentano una fonte di reddito stabile e, talvolta, un canale di accesso al mondo del lavoro. La loro automazione rischia quindi di generare nuove forme di disuguaglianza. 

In questo contesto, dove innovazione e cambiamento sono le parole d’ordine, è necessario un ripensamento complessivo delle politiche occupazionali. Occorre inoltre una riflessione più ampia su come cambia il lavoro con l’Intelligenza Artificiale e su quali saranno i lavori del futuro. Solo così la scomparsa di alcuni lavori non si tradurrà in nuove forme di disagio.

Scarica il report sull’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro di Randstad.

quali sono i lavori più a rischio di estinzione?

Sapere quali sono i lavori più vulnerabili all’AI è importante per aziende, istituzioni e lavoratori.

In una recente ricerca di Microsoft si parla di “AI applicability score”, un indicatore che misura quanto le capacità dell’Intelligenza Artificiale si sovrappongano ai compiti tipici di una professione. Il risultato è chiaro: i ruoli che prevedono attività ripetitive, digitalizzabili e ad alto contenuto burocratico sono quelli più esposti al rischio di estinzione.

In questo scenario, figure come traduttori, addetti al customer care, telemarketer, data entry, redattori tecnici o analisti di mercato emergono come tra le più colpite, perché molte delle loro mansioni possono essere replicate in modo più veloce, accurato ed economico dagli algoritmi. 

Al contrario, i mestieri caratterizzati da una forte componente fisica, manuale o relazionale - come gli operatori edili, i manutentori o gli infermieri - appaiono per ora meno minacciati.

Come sottolineano gli esperti, se un’azienda scopre che grazie all’uso di strumenti di AI un singolo dipendente può svolgere il compito che prima richiedeva due persone, la tentazione di ridurre gli organici diventa forte. È questo il vero pericolo: la produttività individuale aumenta, ma a scapito del numero complessivo di occupati.

Tuttavia, il futuro non deve essere letto solo in chiave negativa. Come già detto, l’Intelligenza Artificiale sul lavoro porta trasformazione. Molte professioni non scompariranno, ma evolveranno e cambieranno forma.

Le competenze richieste saranno diverse, più orientate all’analisi critica, alla supervisione dei modelli e all’uso etico delle tecnologie. È qui che entra in gioco la necessità di sviluppare nuove skills (leggi anche: competenze professionali da sviluppare per trovare lavoro).

Questa trasformazione coinvolge in modo diretto anche il settore delle risorse umane, dove sempre più spesso si sente parlare di digitalizzazione del mondo HR e Intelligenza Artificiale, con l’introduzione, ad esempio, di strumenti di AI recruiting. Alcuni ruoli tradizionali rischiano di scomparire, ma al contempo cresce il bisogno di professionisti che sappiano gestire i sistemi di AI, garantendo trasparenza, inclusività e rispetto dei diritti dei lavoratori.

C’è poi un impatto da non sottovalutare sul piano sociale. Se i lavori più a rischio sono concentrati nei settori amministrativi e nei servizi, si apre il tema della ridistribuzione delle opportunità. Le aziende saranno chiamate a ripensare non solo le proprie strategie, ma anche i valori con cui guidano il lavoro. Integrare pratiche di diversità e inclusione nel mondo del lavoro diventerà essenziale per evitare che l’automazione accentui le disuguaglianze, penalizzando soprattutto chi parte da posizioni più fragili.

Alla luce della ricerca Microsoft, una conclusione appare evidente: non tutti i lavori scompariranno, ma tutti i lavori cambieranno. La sfida è garantire che la transizione non si traduca in disoccupazione di massa, ma in un ecosistema in cui le persone possano trovare nuovi spazi (scopri quali sono i lavori più richiesti in Italia).

Chi riuscirà ad aggiornarsi e a riposizionarsi in mercati emergenti potrà trasformare la minaccia in un vantaggio competitivo. Questo significa anche ripensare i percorsi di carriera: la stabilità garantita dal passato non esiste più, mentre la mobilità e la capacità di reinventarsi diventano la nuova normalità. In questo senso, investire nello sviluppo continuo è la soluzione per restare rilevanti (leggi anche: migliori consigli per fare carriera).

Dunque, il futuro del lavoro non sarà scritto solo dalla tecnologia, ma da come decideremo di governarla. Prepararsi oggi significa non farsi trovare impreparati domani.

sei in cerca di lavoro?

scopri le offerte di lavoro

scopri come trovare lavoro in modo efficace.

scarica la guida gratuita