In Italia, le donne in gravidanza godono di una tutela particolare per conciliare al meglio maternità e lavoro. La normativa riconosce infatti una serie di diritti specifici - dal congedo di maternità al divieto di licenziamento - con l’obiettivo di garantire protezione alla lavoratrice durante la gestazione, il parto e i primi mesi di vita del bambino.

punti chiave da ricordare:

  • le principali norme di riferimento in materia di maternità e lavoro sono il D.lgs. 151/2001 e la L. 53/2000
  • non esiste un termine rigido per comunicare la gravidanza al datore di lavoro: l’obbligo è solo quello di farlo prima dell’inizio del congedo di maternità, ma nella prassi si sceglie di annunciarlo dopo il terzo mese
  • durante la gravidanza le donne non possono essere obbligate a svolgere straordinari né a lavorare di notte (fino al terzo anno di vita del bambino)
  • il congedo di maternità obbligatorio ha una durata complessiva di 5 mesi, durante i quali la lavoratrice continua a percepire una parte del suo stipendio (indennità di maternità)
  • sono previsti anche congedi facoltativi, riposi per allattamento e congedi non retribuiti per la malattia del figlio
  • durante la maternità obbligatoria si maturano scatti di anzianità, ferie, tredicesima e quattordicesima
  • la lavoratrice che si dimette nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento non è tenuta a rispettare i termini di preavviso
  • le neomamma ha diritto a mantenere il proprio posto di lavoro, con le stesse mansioni e la stessa retribuzione, senza subire penalizzazioni
donna che aiuta due bambini a fare i compiti
donna che aiuta due bambini a fare i compiti

tutela della salute della lavoratrice.

La tutela della salute delle donne in gravidanza è un principio fondamentale del nostro ordinamento, disciplinato da diverse leggi che mirano a garantire sicurezza e protezione alle lavoratrici.

Un primo riferimento fu la Legge n. 1204 del 30 dicembre 1971, che introdusse disposizioni specifiche per la tutela della maternità nel privato e nel pubblico impiego, garantendo il divieto di licenziamento delle lavoratrici durante la gravidanza e il periodo di allattamento, nonché durante il congedo di maternità. 

Il Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) stabilisce il divieto di adibire le lavoratrici in gravidanza al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. Le stesse possono essere assegnate ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto.

Un’ulteriore norma di riferimento, quando si parla di maternità e lavoro, è la Legge n. 53 dell’8 marzo 2000, che prevede il diritto a un congedo di maternità obbligatorio di almeno 5 mesi e a un’indennità economica (indennità di maternità) durante questo periodo. 

Occorre ricordare che molti contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), negoziati tra sindacati e aziende, riconoscono ulteriori diritti alle donne in gravidanza sul lavoro. Questi accordi spesso includono regolamentazioni sulle assegnazioni temporanee e altre misure di tutela.

quando comunicare gravidanza al datore di lavoro?

Una delle domande più frequenti tra le lavoratrici in dolce attesa riguarda il momento giusto per informare l’azienda della propria gravidanza. 

La legge non prevede un termine preciso entro cui farlo: l’unico obbligo è quello di comunicare lo stato di gravidanza prima dell’inizio del congedo di maternità obbligatorio, così che il datore di lavoro possa predisporre la documentazione necessaria e organizzare l’eventuale sostituzione.

Proprio perché la normativa non stabilisce una scadenza rigida, la scelta dipende molto dalla valutazione personale della lavoratrice. Nella prassi, molte donne scelgono di condividere la notizia dopo il terzo mese di gestazione, quando si supera la fase iniziale più delicata. Questa tempistica permette di conciliare il diritto alla riservatezza con l’esigenza, altrettanto importante, di consentire al datore di lavoro di programmare al meglio le attività e la gestione del team.

Anche sulle modalità non esiste una procedura specifica. In genere, si inizia con una comunicazione verbale, seguita da una dichiarazione scritta che rende la notizia ufficiale. Per maggiore tutela, è consigliabile inviare una lettera tramite raccomandata A/R o PEC, allegando il certificato medico che attesta la gravidanza e riportando i dati anagrafici, la posizione lavorativa e, se presente, il numero di matricola.

Comunicare la gravidanza in modo tempestivo non è solo un dovere, ma anche un atto di responsabilità verso l’organizzazione perché permette di garantire continuità alle attività aziendali e il rispetto della normativa vigente in riferimento al divieto di adibire a mansioni gravose  o in ambienti a rischio.

lavorare in gravidanza: orario di lavoro durante la gravidanza.

Quando si parla di gravidanza e lavoro, uno dei temi più delicati riguarda l’orario lavorativo. Anche a questo proposito, la normativa italiana prevede tutele specifiche per la salute della futura madre e del bambino.

Durante la gravidanza, le lavoratrici non possono essere obbligate a svolgere straordinari. Le ore aggiuntive di lavoro, infatti, sono considerate una fonte di stress e affaticamento che potrebbe compromettere il benessere della donna e del nascituro. Allo stesso modo, è vietato assegnare le donne incinte a turni di lavoro notturno (dalle 24 alle 6), dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di vita del bambino.

In generale, la legge prevede che il carico di lavoro venga modulato per garantire la tutela della salute della lavoratrice. Questo significa che, qualora le mansioni risultassero troppo pesanti o rischiose, la donna può chiedere l’assegnazione a compiti meno gravosi, senza subire penalizzazioni economiche o professionali.

Un altro punto importante riguarda le visite mediche. Idealmente, dovrebbero essere fissate al di fuori dell’orario di lavoro. Tuttavia, ci sono esami che richiedono una programmazione in orari specifici, ad esempio al mattino presto e a digiuno. In questi casi, la legge riconosce il diritto a permessi retribuiti: le lavoratrici ne hanno diritto per l'effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici e visite mediche specialistiche.

congedo di maternità (o astensione obbligatoria).

Il congedo di maternità è un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro a cui hanno diritto tutte le lavoratrici dipendenti in stato di gravidanza.

Questa misura è pensata per tutelare la salute della madre e del bambino: da un lato consente alla futura mamma di affrontare con maggiore serenità gli ultimi mesi di gravidanza, dall’altro le garantisce il tempo necessario per dedicarsi alle prime cure del neonato.

Durante il congedo, le lavoratrici continuano a percepire una parte della loro retribuzione ordinaria sotto forma di indennità di maternità. Si tratta di un sostegno economico previsto dalla legge, pensato per assicurare continuità al reddito e tutelare la stabilità economica della famiglia nel periodo che precede e segue il parto.

a chi spetta la maternità obbligatoria?

Hanno diritto alla maternità obbligatoria:

  • lavoratrici dipendenti;
  • apprendiste, operaie, impiegate, dirigenti (purché il rapporto di lavoro sia attivo all’inizio del congedo);
  • disoccupate o sospese;
  • lavoratrici agricole, sia a tempo indeterminato che determinato, che nell’anno di inizio del congedo risultino iscritte negli elenchi nominativi come braccianti per almeno 51 giornate lavorative;
  • colf e badanti;
  • lavoratrici a domicilio;
  • addette ad attività socialmente utili o di pubblica utilità;
  • dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Le lavoratrici autonome non sono tenute ad osservare il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, ma hanno comunque diritto a percepire l’indennità di maternità.

chi paga la maternità?

Nella maggior parte dei casi, l’indennità di maternità è a carico dell'INPS. Hanno diritto al pagamento da parte dell’ente:

  • lavoratrici dipendenti del settore privato, comprese alcune lavoratrici agricole, colf, badanti e lavoratrici a domicilio;
  • lavoratrici autonome;
  • lavoratrici iscritte alla Gestione Separata dell’INPS;
  • madri la cui attività lavorativa sia cessata o sospesa, purché rispettino i requisiti previsti dalla normativa;
  • lavoratrici dello spettacolo iscritte al Fondo pensione dedicato.

Esistono però situazioni particolari in cui l’indennità non viene erogata dall’INPS, ma direttamente dal datore di lavoro o dalla cassa previdenziale di riferimento. È il caso, ad esempio, delle dipendenti della Pubblica Amministrazione, per le quali il trattamento economico durante la maternità è a carico dell’amministrazione stessa.

Lo stesso vale per le libere professioniste iscritte a ordini professionali con cassa autonoma: in questi casi, l’indennità di maternità è corrisposta direttamente dalla cassa previdenziale di appartenenza e non dall’INPS.

a quanto ammonta l’indennità di maternità.

L’indennità di maternità corrisponde all’80% della retribuzione media giornaliera, calcolata sulla base dell’ultima busta paga percepita dalla lavoratrice in gravidanza prima dell’inizio del congedo obbligatorio.

I dettagli, però, possono variare leggermente in base alla specifica situazione lavorativa della beneficiaria. Per le lavoratrici iscritte alle gestioni autonome INPS, ad esempio, l’indennità viene calcolata come l'80% della retribuzione giornaliera stabilita annualmente dalla legge per la tipologia di attività svolta.

Inoltre, alcuni CCNL prevedono il riconoscimento di un'integrazione a carico del datore di lavoro, così da assicurare alla lavoratrice l'intera retribuzione.

Le libere professioniste con una cassa di previdenza specifica percepiscono l'80% dei compensi dichiarati nell'anno precedente, calcolati su una base di 5 mesi.

quando spetta l’indennità di maternità?

Il congedo di maternità ha una durata complessiva di 5 mesi. Generalmente, i primi due mesi vengono fruiti prima del parto, mentre i restanti tre coprono il periodo immediatamente successivo alla nascita.

Se la gravidanza procede senza complicazioni e il medico certifica che non ci sono rischi per la salute della madre e del nascituro, la lavoratrice può chiedere di posticipare di un mese l’inizio del congedo, prolungando il periodo di astensione dal lavoro post-partum da tre a quattro mesi.

Dal 2019, la neomamma ha la possibilità di lavorare fino al nono mese di gravidanza. In questo caso, il congedo inizia subito dopo il parto e l’indennità viene erogata per i cinque mesi successivi alla nascita del bambino. Anche in questo caso, però, è necessario presentare un certificato medico che attesti la piena idoneità a lavorare fino alla fine della gravidanza e che il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attesti che non vi sia un pregiudizio alla salute.

quando e come fare domanda per l’indennità di maternità?

La domanda per l’indennità di maternità deve essere inoltrata all’INPS prima dei due mesi che precedono la data presunta del parto e in ogni caso mai oltre un anno dalla fine del periodo che può essere coperto dall’indennità. 

Prima dell’inizio del congedo di maternità obbligatoria, la lavoratrice deve recapitare all’INPS il certificato medico di gravidanza. Inoltre, entro 30 giorni dal parto dovrà comunicare la data di nascita del figlio.

maternità anticipata.

La maternità anticipata è un diritto riconosciuto alle lavoratrici in situazioni particolari. 

In determinate circostanze, la futura mamma può scegliere di anticipare il periodo di astensione dal lavoro, ottenendo così un sostegno prezioso durante i primi mesi di gravidanza. 

La legge concede questa opzione principalmente in due casi:

  • gravi complicazioni. Se la gravidanza presenta complicanze serie o persistono condizioni di salute che potrebbero essere aggravate dalla gravidanza stessa, la futura mamma ha il diritto di anticipare il congedo di maternità. La priorità è la sua salute e quella del bambino;
  • condizioni di lavoro rischiose. Se il lavoro svolto rappresenta un pericolo per la salute della donna incinta e del nascituro, è possibile anticipare il periodo di astensione. Questo vale anche per lavori faticosi o insalubri o per mansioni che espongono la lavoratrice a rischi per la sua sicurezza e salute.

La maternità anticipata viene ovviamente concessa anche quando si verifica un parto prematuro, ovvero prima dell’ottavo mese, quello in cui dovrebbe teoricamente iniziare il periodo di astensione obbligatoria.

chi può richiedere la maternità anticipata?

La possibilità di richiedere la maternità anticipata è un diritto che spetta a diverse categorie di donne lavoratrici. 

Nel dettaglio, possono avanzare la richiesta:

  • lavoratrici dipendenti, sia nel settore pubblico che privato (comprese le lavoratrici agricole e domestiche);
  • lavoratrici libere professioniste;
  • lavoratrici autonome iscritte alla Gestione Separata dell’INPS.

come richiederla e a quanto ammonta l’indennità per la maternità anticipata?

La procedura per accedere alla maternità anticipata varia a seconda delle motivazioni per cui viene richiesta e può essere effettuata in diversi modi:

  • modalità telematica;
  • ricorso ai patronati locali.

L'indennità per la futura madre solitamente ammonta all'80% della retribuzione media giornaliera globale calcolata in base al mese di lavoro precedente l'inizio del periodo di astensione anticipata.

Per alcune lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, l'indennità durante il congedo anticipato corrisponde all'80% di 1/365 del reddito. In alcune situazioni, l'indennità può essere erogata direttamente dall’INPS, in altre anticipata dal datore di lavoro e poi successivamente rimborsata.

Se previsto dal contratto, il datore di lavoro può prevedere un’integrazione così da assicurare alla lavoratrice l'intera retribuzione.

congedi parentali (astensione facoltativa).

Il congedo parentale, noto anche come maternità facoltativa, è un periodo di astensione dal lavoro a cui hanno diritto le madri dopo il congedo obbligatorio, per assistere al meglio il loro bambino.

È accessibile anche ai padri (congedo di paternità) ed è pensato per consentire ai neogenitori di trascorrere più tempo con il neonato e di conciliare meglio le esigenze familiari con il lavoro. 

Ha una durata massima complessiva (sommando i periodi di congedo di madre e padre) pari a  dieci mesi, elevabili a undici se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, di almeno tre mesi., che i genitori possono utilizzare quando preferiscono, entro i 12 anni di vita del bambino.

riposi e congedi.

Quando si parla di gravidanza e lavoro, la legge italiana prevede diverse forme di tutela che permettono alle lavoratrici di conciliare i bisogni familiari con l’attività professionale. Oltre al congedo di maternità e al congedo parentale, esistono altre misure pensate per tutelare la salute della madre e agevolare la cura del neonato nei primi mesi di vita.

Ecco una panoramica dei principali riposi e congedi riconosciuti alle lavoratrici incinte e alle neomamme.

riposo per allattamento.

Durante il primo anno di vita del bambino, la lavoratrice ha diritto a due riposi giornalieri retribuiti di un’ora ciascuno per l’allattamento (cumulabili). 

I due riposi diventano di mezz’ora se c’è un asilo aziendale all’interno della struttura in cui la madre lavora. Se l’orario di lavoro non supera le 6 ore giornaliere, il riposo per allattamento si riduce a un’ora. 

Il riposo per allattamento si estende al padre se la madre è impossibilitata ad accudire il neonato o se ne ha l’affido.

congedi non retribuiti per la malattia del figlio.

Madre e padre hanno diritto alternativamente all’astensione dal lavoro non retribuita (ad eccezione dei dipendenti pubblici) in caso di malattia di ciascun figlio di età inferiore ai 3 anni. 

Per i bambini tra i 3 e gli 8 anni, il congedo è pari a 5 giorni all’anno. Per usufruire del congedo per malattia del figlio basta presentare un certificato medico e non c’è obbligo di reperibilità durante gli orari di visita fiscale.

maternità e lavoro notturno.

La normativa prevede limiti precisi: fino al compimento di un anno di vita del bambino, alla madre è vietato svolgere attività lavorativa nelle fasce notturne, cioè tra le 24 e le 6 del mattino.

Superato il primo anno di età del figlio, il lavoro notturno non è più vietato, ma rimane comunque facoltativo: la madre può rifiutare di prestare servizio notturno fino al compimento dei 3 anni del bambino.

La stessa tutela si estende fino ai 12 anni del bambino nel caso in cui la madre sia l’unico affidatario del minore, purché convivente. Lo stesso vale se il figlio è portatore di disabilità riconosciuta ai sensi della Legge 104.

anzianità e ferie durante la maternità.

Durante la maternità obbligatoria, l’anzianità di servizio, le ferie e le mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima) continuano a maturare regolarmente. 

I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità o gratifica natalizia.

I giorni di astensione dal lavoro non retribuita per la malattia del figlio sono utili al calcolo dell’anzianità di servizio, ma non vengono presi in considerazione per la maturazione delle ferie e delle mensilità aggiuntive.

divieto di licenziamento per la madre lavoratrice.

Ai sensi dell’art. 54 del Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino.

Esistono alcune eccezioni al divieto di licenziamento per la madre lavoratrice:

  • cessazione dell’attività dell’azienda;
  • colpa grave da parte della lavoratrice, tale da costituire giusta causa di licenziamento;
  • scadenza naturale del contratto di lavoro, nel caso di rapporti a tempo determinato o per specifica prestazione;
  • esito negativo del periodo di prova.

dimissioni in maternità.

La lavoratrice può presentare le dimissioni volontarie durante il cosiddetto “periodo protetto”, che va dall’inizio della gravidanza fino al compimento dei 3 anni di vita del bambino. In questi casi, per tutelare la madre e prevenire pressioni indebite da parte del datore di lavoro, interviene l’Ispettorato Nazionale del Lavoro competente per territorio per convalidare le dimissioni, accertando che la decisione sia stata presa in piena autonomia e non sia frutto di imposizioni esterne.

L’art. 12 del Decreto Legislativo n. 80 del 15 giugno 2015 (che modifica l’articolo 55 del Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001) prevede che, qualora la lavoratrice presenti le dimissioni durante il periodo in cui è in vigore il divieto di licenziamento, non sia obbligata a rispettare alcun termine di preavviso e ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali.

diritto al rientro dalla maternità.

Al termine dei periodi di congedo, la lavoratrice ha il diritto di rientrare al lavoro senza subire penalizzazioni. Ciò significa che deve essere reinserita nello stesso ufficio, reparto o settore in cui era impiegata prima dell’astensione obbligatoria o facoltativa, con le medesime mansioni e la stessa retribuzione.

Inoltre, l’assenza per congedo non può costituire un ostacolo né un motivo di esclusione da opportunità di crescita o avanzamento professionale. 

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