Il turnover del personale è un fenomeno che interessa da vicino tutte le organizzazioni, ma quando supera determinate soglie può diventare un problema. Per questo è importante capire che cosa si intende per turnover, come calcolarlo correttamente, quali sono i motivi che lo alimentano e quali leve attivare per ridurlo.
indice dei contenuti:
- cosa si intende per turnover del personale?
- tipologie di turnover dei dipendenti.
- come si calcola il turnover del personale?
- quando il turnover è considerato alto?
- perché è importante considerare il tasso di ricambio del personale: il costo del turnover per l'azienda.
- quali sono i motivi alla base del turnover dei dipendenti?
- come ridurre il turnover del personale?
- gestisci il turnover dei dipendenti con Randstad.
punti chiave da ricordare:
- il turnover è un processo fisiologico per qualsiasi organizzazione, ma può diventare patologico e mettere a rischio operatività, clima interno e continuità del business
- in Italia il tasso di ricambio del personale complessivo è del 21,9% e risulta nettamente più elevato nelle imprese dei servizi rispetto all’industria
- investire su formazione, organizzazione flessibile del lavoro e sistemi di riconoscimento aiuta a contenere il turnover e a rafforzare engagement e retention
Scarica subito la guida: 10 cause del turnover del personale e cosa fare a riguardo.
scarica oracosa si intende per turnover del personale?
Con l’espressione "turnover del personale” - in italiano "tasso di ricambio del personale" - si indica la frequenza con cui i dipendenti lasciano l’azienda in un certo periodo di tempo e vengono sostituiti da nuovi assunti.
Si tratta, entro certi limiti, di un processo fisiologico per qualsiasi organizzazione: anche persone motivate e soddisfatte possono decidere di cambiare lavoro per nuove opportunità di carriera, esigenze personali o scelte di vita.
Il problema nasce quando il turnover diventa “patologico”: le uscite sono così numerose da mettere in difficoltà l’operatività quotidiana e creare instabilità nel team, con un impatto negativo anche sulle persone che rimangono in azienda.
Sostituire risorse cronicamente poco produttive con nuovi assunti motivati può, in alcuni casi, rafforzare le performance e migliorare il clima. Al contrario, quando a lasciare l’azienda sono figure chiave, ad alte prestazioni, spesso perché insoddisfatte o poco ingaggiate, il turnover diventa un segnale critico da non sottovalutare.
Qual è la situazione in Italia? Secondo l’ultima indagine di Confindustria sul lavoro, nel 2024 il tasso di turnover in entrata è stato pari all’11,4% e quello in uscita al 10,5%, per un tasso complessivo del 21,9%. Il turnover risulta più alto nelle imprese dei servizi (57,2%) rispetto all’industria (21,9%), mentre non emergono differenze significative tra classi dimensionali.
tipologie di turnover dei dipendenti.
Esistono diverse tipologie di turnover:
- turnover positivo;
- turnover negativo;
- turnover volontario;
- turnover involontario;
- licenziamenti per esubero.
Ecco in cosa consistono e quali sono le conseguenze per l’azienda.
turnover positivo e negativo a confronto.
In alcuni casi il turnover può essere positivo per l’azienda. L’uscita dall’organizzazione di persone poco produttive o con atteggiamenti negativi migliora il clima interno e riduce costi che non generano valore. Sostituire queste risorse con nuovi talenti motivati e competenti può aumentare la performance complessiva del team.
Ci sono contesti, come i settori stagionali, in cui un certo tasso di turnover è persino necessario: ridurre la forza lavoro nei periodi di bassa attività permette di evitare costi legati a risorse in esubero e garantire stabilità alla struttura aziendale.
Diverso è il caso del turnover negativo, quando a lasciare l’azienda sono i talenti migliori. Professionisti brillanti che si dimettono perché disillusi, frustrati o annoiati lasciano un vuoto difficile da colmare e i colleghi che restano possono sentirsi demotivati o meno fiduciosi nel futuro dell’organizzazione.
dimissioni volontarie.
Le dimissioni volontarie possono essere un vantaggio per l’azienda, solo però se ad andarsene sono persone poco motivate o produttive. In queste situazioni, molti professionisti HR considerano il turnover “positivo”, perché libera spazio per talenti più adeguati.
Più spesso, però, chi si dimette lo fa per motivi meno favorevoli per l’azienda: ha ricevuto un’offerta più in linea con le proprie competenze, vede maggiori prospettive di crescita altrove oppure deve trasferirsi. In questi casi, il turnover è “negativo”, ma in buona parte prevenibile, lavorando su leve come sviluppo professionale, percorsi di carriera e politiche di retention.
cessazione involontaria del rapporto di lavoro.
La cessazione involontaria del rapporto di lavoro è il licenziamento. L’azienda può decidere di interrompere la collaborazione in presenza di violazioni delle policy interne, performance costantemente insufficienti o gravi episodi di negligenza.
Questo tipo di provvedimento richiede particolare attenzione sul piano normativo: è essenziale rispettare le leggi sul lavoro vigenti, incluse le regole su preavviso, pagamenti finali e trattamento di ferie e permessi residui, per evitare contenziosi e tutelare entrambe le parti.
Le cessazioni involontarie hanno un impatto anche sul clima interno. Licenziamenti frequenti o percepiti come poco chiari possono generare insicurezza e sfiducia tra i dipendenti. Per questo è importante comunicare in modo trasparente, spiegare il contesto delle decisioni e riconoscere il contributo di chi continua a lavorare in azienda.
licenziamenti per esubero.
I licenziamenti per esubero hanno luogo quando le aziende riducono il numero di persone impiegate per rimanere solvibili in periodi finanziariamente difficili. Si verificano, ad esempio, in seguito a ristrutturazioni, chiusura di reparti, fine di commesse o progetti stagionali. In questi casi, il problema non è la performance del singolo, ma la necessità di ridimensionare la struttura aziendale.
Si tratta di un provvedimento considerato “legittimo”, purché i datori di lavoro non utilizzino criteri non equi nella scelta dei lavoratori da licenziare. È fondamentale attenersi alla normativa vigente, che disciplina aspetti come preavviso, trattamenti di fine rapporto ed eventuali misure di accompagnamento.
come si calcola il turnover del personale?
Calcolare il turnover del personale è più semplice di quanto sembri. Ecco i passaggi da seguire:
- definire il periodo di riferimento. Può essere mensile, trimestrale o, più spesso, annuale.
- calcolare il numero medio di dipendenti in quel periodo. Bisogna prendere il numero di persone in organico all’inizio e alla fine del periodo individuato, sommare le due cifre e dividerle per due;
- contare quante persone hanno lasciato l’azienda in quel periodo, considerando solo le uscite effettive e non i casi di mobilità interna.
A questo punto, per calcolare la percentuale di turnover, è possibile utilizzare l'equazione seguente:
- Tasso di turnover = (lavoratori che hanno lasciato l'azienda ÷ numero medio di lavoratori) × 100
Facciamo un esempio pratico, immaginando che il numero di dipendenti al 1° gennaio corrisponda a 200 e al 31 dicembre a 196:
- Numero medio di dipendenti = (200 + 196) ÷ 2 = 198
Se tra il 1° gennaio e il 31 dicembre sono uscite 20 persone, il tasso di turnover dovrà essere calcolato come segue:
- (20 ÷ 198) × 100 = 10,1%
Se l’azienda impiega personale temporaneo o stagionale, è utile calcolare il turnover di questi lavoratori separatamente rispetto al personale stabile: in questo modo il dato risulta più leggibile e aiuta a monitorare i costi con maggiore precisione.
turnover effettivo.
Per turnover effettivo si intende il tasso di ricambio del personale calcolato su un periodo breve, di solito un mese. Indica quante persone, in proporzione all’organico medio di quel periodo, hanno effettivamente lasciato l’azienda.
Si ottiene applicando la formula già vista, sostituendo la media annuale dei dipendenti con quella mensile. In questo modo è possibile monitorare mese per mese dimissioni, cessazioni ed esuberi man mano che si verificano, intercettando subito eventuali picchi anomali.
turnover annualizzato.
Una volta ricavato il turnover effettivo, è possibile calcolare il turnover annualizzato, che corrisponde al turnover previsto al mese o all'anno, il cui valore può essere utilizzato per pianificare i costi di assunzione in anticipo.
Per calcolare la media mensile è necessario:
- sommare il numero medio di dipendenti per ogni mese e dividere il totale per 12;
- sommare il numero di dipendenti in uscita ogni mese e dividere il totale per 12 per ottenere una media mensile;
- inserire i valori ricavati nell'equazione generale per il turnover per conoscere la percentuale media mensile.
quando il turnover è considerato alto?
Un tasso di turnover pari allo 0% è semplicemente irrealistico. La domanda da porsi è: quando il turnover smette di essere “normale” e diventa un campanello d’allarme?
Non esiste una soglia valida per tutte le imprese. Secondo Gallup, un tasso di turnover intorno al 10% annuo può essere considerato ragionevole. La vera variabile critica, però, non è la percentuale in sé, quanto piuttosto chi sta lasciando l’azienda.
Se quel 10% è composto da persone poco ingaggiate o produttive, il ricambio può persino essere salutare. Se, invece, riguarda figure chiave, top performer o persone difficilmente sostituibili, anche una percentuale apparentemente bassa può diventare un problema serio.
Per questo, ogni azienda dovrebbe leggere il proprio tasso di turnover alla luce di alcuni elementi:
- andamento nel tempo;
- distribuzione per funzioni, ruoli e livelli di seniority;
- qualità delle uscite (profili critici vs profili più facilmente reperibili sul mercato);
- confronto con i benchmark di settore.
Da considerare anche la fase che l’azienda sta attraversando.
Solo incrociando questi fattori è possibile capire se il turnover è ancora fisiologico o se sta diventando un rischio per il business.
perché è importante considerare il tasso di ricambio del personale: il costo del turnover per l'azienda.
Il tasso di ricambio del personale è un indicatore diretto dei costi, visibili e invisibili, che il turnover genera per l’organizzazione.
Secondo un sondaggio di Gallup, i costi associati alla sostituzione di un dipendente possono arrivare anche al doppio del suo stipendio annuale. Questo perché, oltre alle spese immediate di ricerca e selezione, entrano in gioco i costi di onboarding e formazione, il tempo necessario per portare il nuovo assunto a regime e l’impatto sulla produttività del team durante la fase di transizione.
Oltre a questi elementi ce ne sono anche degli altri, che possono comportare costi aggiuntivi per l’azienda:
- carico extra sulle persone che restano, chiamate a coprire temporaneamente attività aggiuntive;
- rischio di errori o rallentamenti dovuti alla perdita di esperienza e continuità;
- possibile peggioramento del clima interno, soprattutto se le uscite riguardano figure stimate o se il turnover è percepito come sintomo di instabilità;
- ripercussione sull’immagine aziendale, sia verso il mercato del lavoro sia verso i clienti, in termini di affidabilità e capacità di talent retention.
Considerare con attenzione il tasso di ricambio del personale significa quindi avere sotto controllo non solo quanti dipendenti stanno lasciando l’organizzazione, ma anche quanto tutto questo incide sul conto economico e sulla capacità dell’azienda di crescere nel medio-lungo periodo.
quali sono i motivi alla base del turnover dei dipendenti?
Dietro al turnover del personale ci sono sempre delle cause, più o meno visibili. Alcune riguardano il mercato del lavoro e le dinamiche esterne, ma molte sono interne all’organizzazione e riconducibili al modo in cui le persone vengono gestite, coinvolte e sostenute nel loro percorso professionale.
Le cause più comuni di turnover sono:
- problemi a livello gestionale;
- mancanza di opportunità;
- burnout.
problemi a livello gestionale.
Ciò che accade nella quotidianità (il modo in cui i responsabili comunicano, distribuiscono i carichi di lavoro, forniscono feedback, gestiscono i conflitti, …) può spingere una persona ad abbandonare l’azienda.
Secondo Gallup, circa il 70% dei dipendenti che hanno lasciato il proprio posto di lavoro indica come causa principale elementi direttamente collegati alla gestione del personale: interazioni negative con il proprio responsabile, problemi organizzativi percepiti come frustranti, squilibri nel carico di lavoro o tensioni non gestite all’interno del team.
Un manager che non ascolta, non comunica in modo chiaro obiettivi e priorità, non offre feedback costruttivi o non tutela il team da carichi eccessivi di lavoro finisce, anche involontariamente, per alimentare malessere e disingaggio.
mancanza di opportunità.
Tra le cause più frequenti di turnover vi è la mancanza di opportunità di crescita. Quando le persone sentono di essere ferme, in termini di ruolo, responsabilità o sviluppo delle competenze, iniziano più facilmente a guardarsi intorno.
I dati lo confermano. Secondo l’Employer Brand Research di Randstad, il 25,5% dei lavoratori considera la mancanza di opportunità di crescita professionale il principale motivo per cui lascerebbe la propria occupazione. Anche il Randstad Workmonitor arriva a una conclusione simile: il 38% dei rispondenti al sondaggio sarebbe disposto a dimettersi se non avesse accesso a programmi di sviluppo e apprendimento.
In questo scenario, il turnover diventa spesso l’esito di un progressivo disallineamento tra ciò che la persona desidera per il proprio futuro professionale e ciò che vede concretamente possibile nel contesto in cui opera. La ricerca esterna di nuove opportunità appare allora come l’unica strada da percorrere.
burnout.
Carichi di lavoro eccessivi, urgenze costanti e difficoltà a separare vita privata e professionale finiscono per erodere, nel tempo, le energie fisiche e mentali delle persone, fino a logorarne la motivazione e portare al burnout.
La serie di studi “Employee Mental Health in 2024” di SHRM, evidenzia che quasi la metà dei lavoratori dichiara di sentirsi esausta a causa del proprio lavoro. Chi vive questa condizione ha quasi tre volte più probabilità di cercare attivamente un nuovo impiego.
Sempre secondo SHRM, oltre un terzo dei lavoratori ha accettato un’occupazione meno retribuita pur di tutelare la propria salute mentale, mentre più di uno su cinque ha lasciato il proprio impiego senza avere trovato un altro.
Questi dati mostrano come, di fronte a condizioni lavorative percepite come insostenibili, molte persone siano disposte a rinunciare a stabilità economica e prospettive di crescita pur di allontanarsi da contesti che considerano dannosi per il loro benessere.
come ridurre il turnover del personale?
Com’è chiaro, le persone lasciano un’azienda per ragioni diverse. Alcune sono legate alla sfera personale - cambi di vita, trasferimenti, scelte familiari - e sfuggono in larga parte al controllo dell’organizzazione.
Altre, invece, dipendono direttamente dal contesto di lavoro. Ed è proprio qui che le aziende possono intervenire. Secondo Gallup, il 42% di chi ha lasciato volontariamente il proprio impiego ritiene che l’uscita sarebbe potuta essere evitata.
Un dato che suggerisce quanto il turnover, in molti casi, sia il risultato di criticità gestibili: mancanza di ascolto, percorsi di sviluppo poco chiari, rigidità organizzative, assenza di riconoscimento.
Ridurre il tasso di ricambio del personale significa quindi lavorare in modo strutturato sulle condizioni che favoriscono la permanenza delle persone in azienda.
crea opportunità di formazione.
Le opportunità di formazione e sviluppo sono una delle leve più efficaci per trattenere le persone e ridurre il turnover. Ciò che i dipendenti cercano, infatti, è la possibilità di acquisire nuove competenze o aggiornare quelle che già possiedono, restare occupabili nel tempo e crescere all’interno dell’organizzazione.
L’Employer Brand Research evidenzia che lo sviluppo delle competenze sul posto di lavoro è considerato importante in modo universale, indipendentemente dall’età e dal ruolo. Che si tratti di profili junior o senior, di funzioni operative o direzionali, la possibilità di imparare e migliorare è percepita come un elemento chiave di attrattività.
In questa prospettiva, la formazione deve essere inclusa nella proposta di valore dell’azienda verso le proprie persone. Programmi di upskilling e reskilling, percorsi di sviluppo manageriale o momenti di apprendimento on the job contribuiscono a rafforzare il legame tra persone e organizzazione.
7 strategie efficaci per incentivare la employee retention.
scarica la guidaoffri una programmazione flessibile.
La flessibilità nella programmazione del lavoro è oggi uno degli elementi che più incidono sulla decisione di restare o lasciare un’azienda.
Le ricerche lo confermano: il Randstad Workmonitor mostra che l’87% dei lavoratori italiani considera l’equilibrio tra lavoro e vita privata una priorità assoluta. In questo contesto, la possibilità di contare su modalità di lavoro flessibili diventa un criterio nella valutazione del proprio posto di lavoro.
Orari flessibili, pianificazione chiara del lavoro, lavoro ibrido o da remoto per i ruoli che lo consentono e rispetto dei tempi di disconnessione: queste condizioni contribuiscono a rendere l’organizzazione più vivibile agli occhi delle persone e a ridurre la tentazione di cercare condizioni migliori altrove.
implementa un programma di riconoscimento.
I programmi di riconoscimento, se ben strutturati, contribuiscono a migliorare il morale dei dipendenti e ad aumentare i livelli di fidelizzazione. Riconoscimenti tradizionali, come il titolo di miglior dipendente del mese, continuano ad essere particolarmente efficaci, analogamente a programmi di welfare, assegni bonus e ricompense a progetto.
Per trarre il massimo vantaggio dal programma dedicato, è importante riconoscere tempestivamente i risultati ottenuti e fornire feedback costruttivi.
gestisci il turnover dei dipendenti con Randstad.
Gestire il turnover dei dipendenti in modo consapevole significa, prima di tutto, misurarlo con regolarità, leggerne le cause e andare oltre le percentuali, cercando di comprendere davvero chi sta lasciando l’azienda e per quali motivi.
Solo a partire da questa analisi è possibile mettere in campo interventi mirati, che non devono ridursi a iniziative isolate, ma inserirsi in un quadro di politiche HR orientate ad aumentare engagement, senso di appartenenza e, di conseguenza, retention.
Noi di Randstad possiamo aiutarti a ridurre il turnover nella tua azienda, gestendo l’onboarding e l’offboarding dei talenti in maniera efficace. Partiamo dalle tue esigenze, analizziamo la tua situazione e, insieme, troviamo la soluzione più adatta al tuo business.