Trattenere i talenti è una delle sfide principali per le imprese. Ma cosa spinge davvero una persona a restare in azienda? Le motivazioni sono molteplici e non sempre legate alla sola retribuzione. Vediamo insieme cosa trattiene i talenti in azienda con i dati dell’Employer Brand Research - l’indagine indipendente più rappresentativa sul tema dell’employer branding

key takeaways

  • il driver più importante nella scelta del datore di lavoro è l’equilibrio tra vita privata e lavoro, indicato come prioritario dal 64% delle donne e dal 54% degli uomini. 

  • seguono l’atmosfera piacevole sul posto di lavoro e la retribuzione e i benefit.

  • le aziende che riescono a intercettare e a soddisfare questi bisogni hanno maggiori possibilità di trattenere talenti, costruire relazioni di fiducia e rafforzare il proprio posizionamento come datore di lavoro ideale.

Approfondisci i dati della Randstad Employer Brand Research.

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1. work-life balance.

Negli ultimi anni, l’equilibrio tra vita privata e professionale è diventato un fattore chiave nella scelta di un’azienda. A confermarlo sono i dati dell’Employer Brand Research, che indicano il work-life balance come il primo driver di attrattività per i candidati (59%), con percentuali che variano sensibilmente in base al profilo professionale.

Non sorprende che per il 52% delle figure operational - persone che lavorano prevalentemente in presenza e su turni e per le quali la possibilità di conciliare il lavoro con la vita privata è spesso vincolata a orari rigidi - l’equilibrio tra vita e lavoro sia una priorità assoluta.

Per i professional, il work-life balance conta ancora di più (58%), perché rappresenta una condizione necessaria per mantenere alte le performance nel tempo senza sacrificare il benessere personale. Orari flessibili e modalità di lavoro ibride diventano aspetti fondamentali per una permanenza stabile in azienda.

Per chi opera in ambito digital, l’equilibrio tra lavoro e vita privata rappresenta il secondo driver più rilevante nella scelta del datore di lavoro (63%), subito dopo retribuzione e benefit (66%). Una priorità che riflette un’esigenza precisa: gestire il proprio tempo in modo flessibile, senza rinunciare alla produttività. In questo senso, la possibilità di lavorare da remoto - indicata come prioritaria dal 56% degli intervistati - non è più percepita come un vantaggio accessorio, ma come un requisito essenziale.

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2. atmosfera piacevole al lavoro.

L’ambiente in cui si lavora ogni giorno incide profondamente sulla scelta di restare in azienda. Secondo l’Employer Brand Research, il 56% degli intervistati considera l’atmosfera piacevole sul posto di lavoro un fattore importante nella scelta del datore di lavoro. 

Un dato che colloca l’Italia sopra la media europea e globale e che diventa ancora più interessante se osservato in relazione al genere: per le donne la qualità dell’ambiente di lavoro conta moltissimo (63%), mentre per gli uomini si ferma al 48%. Un divario che suggerisce quanto le lavoratrici percepiscano come essenziale un contesto professionale sereno, collaborativo e rispettoso - forse anche come contromisura implicita a eventuali esperienze marginalizzazione vissute in ambito lavorativo.

Il valore attribuito a questo fattore varia anche in base al livello di istruzione: chi possiede un titolo di studio elevato tende a privilegiare maggiormente altri elementi come l’equilibrio vita-lavoro (59%) e la retribuzione con i relativi benefit (54%). In questi casi, l’atmosfera resta comunque importante (55%), ma scende al terzo posto tra i driver principali. Si potrebbe ipotizzare che figure altamente qualificate sentano di poter affrontare e gestire meglio un clima aziendale meno favorevole, purché siano presenti altri elementi motivanti.

3. retribuzione e benefit aziendali.

Se è vero che il work-life balance e l’ambiente di lavoro sono sempre più importanti per i candidati, è altrettanto vero che la retribuzione continua a giocare un ruolo fondamentale nella permanenza in azienda. 

Lo conferma l’Employer Brand Research: il 54% dei lavoratori intervistati indica la retribuzione e i benefit come uno dei fattori più rilevanti nella scelta del datore di lavoro.

In Europa e a livello globale questo fattore conquista il primo posto: un segnale evidente di come le aspettative economiche siano ancora il fulcro della scelta occupazionale in molti mercati. L’Italia si distingue per una maggiore attenzione all’equilibrio vita-lavoro e alla qualità dell’ambiente di lavoro, che spingono retribuzione e benefit aziendali interessanti in terza posizione.

Anche tra i profili professionali emergono alcune differenze. Per chi lavora in ambito digital, retribuzione e benefit si posizionano al primo posto (66%), ben sopra la media generale. Una preferenza che riflette le dinamiche di un settore altamente competitivo, dove le competenze tecniche specialistiche sono molto richieste e il riconoscimento economico è considerato imprescindibile. Per le figure operational, si posizionano al secondo posto (51%), mentre per i profili professional scendono al terzo (52%), superati da work-life balance e atmosfera lavorativa.

Nonostante l’importanza attribuita alla retribuzione e ai benefit, dalla ricerca è emerso che meno della metà degli intervistati si sente adeguatamente retribuito nel suo lavoro attuale. Un gap che, se non colmato, rischia di minare la fiducia, alimentare la frustrazione e incentivare il desiderio di cambiamento, soprattutto tra le figure professionali più richieste.

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4. sicurezza del posto di lavoro.

La sicurezza del posto di lavoro continua a essere una priorità per molti lavoratori. Secondo l’Employer Brand Research, il 47% degli intervistati la considera uno dei driver principali nella scelta del datore di lavoro, con percentuali più alte tra le donne (53%) che tra gli uomini (41%).

La percezione di stabilità non si esaurisce nella solidità economica dell’azienda, ma si lega sempre più alla capacità dell’organizzazione di accompagnare le persone nel cambiamento, offrendo strumenti e competenze per affrontare le trasformazioni in atto. Tra queste, l’Intelligenza Artificiale occupa oggi un posto di rilievo.

Il 35% dei lavoratori italiani afferma che l’IA sta già avendo un impatto significativo sul proprio lavoro e il 44% tra chi ne percepisce gli effetti ritiene che l’influenza sia positiva. Tuttavia, esistono anche zone d’ombra: il 6% teme di perdere il lavoro a causa dell’IA e il 12% ne segnala un impatto negativo sulla soddisfazione lavorativa.

Il senso di sicurezza non dipende tanto dall’assenza di minacce, quanto più dalla presenza di un contesto in cui i cambiamenti - anche quelli tecnologici - vengono governati in modo trasparente e condiviso. 

Le aziende che investono nella formazione, nel reskilling e nel coinvolgimento attivo delle persone riescono a trasformare l’adozione dell’IA in un’opportunità, invece che in una fonte di incertezza.

colleghi parlano del perché rimanere in azienda
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5. diversità e inclusione.

Per la prima volta, il tema della diversità e dell’inclusione entra nella top five dei fattori più rilevanti nella scelta del datore di lavoro: il 45% degli intervistati lo considera un fattore decisivo, che supera per importanza la progressione di carriera, storicamente stabile al quinto posto.

È un cambiamento che riflette l’evoluzione del modo in cui i dipendenti valutano la qualità di un ambiente di lavoro: non più solo opportunità di crescita, ma anche attenzione al benessere collettivo e al rispetto delle identità.

L’importanza attribuita a questo fattore varia in base al genere: il 54% delle donne lo considera determinante, contro il 36% degli uomini. Una differenza che suggerisce una percezione ancora diseguale dell’ambiente di lavoro, dove le donne - più degli uomini - avvertono il bisogno di essere riconosciute, rappresentate e tutelate in termini di inclusività.

Nonostante i progressi dichiarati dai datori di lavoro in merito all’equità - con percentuali in crescita rispetto al 2024 per quanto riguarda parità retributiva, valorizzazione delle competenze e accesso equo alle opportunità - permangono criticità rilevanti. 

Il 45% dei lavoratori che si identificano come appartenenti a una minoranza riferisce di aver incontrato ostacoli legati alla propria identità nell’avanzamento di carriera, contro il 35% di chi non si riconosce in alcun gruppo minoritario. Questo dato, in lieve miglioramento rispetto all’anno precedente, evidenzia però un problema ancora aperto.

Dunque, se da un lato cresce l’attenzione verso l’inclusività, dall’altro resta forte la necessità di trasformare l’intenzione in cultura organizzativa diffusa e pratica quotidiana. Solo così la diversità potrà diventare una leva reale di attrazione, motivazione e retention.

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6. visibilità del percorso di carriera.

Al sesto posto tra i fattori che influenzano la scelta di un’azienda troviamo la visibilità del percorso di carriera, indicata come rilevante dal 44% degli intervistati. Un dato tutt’altro che marginale, che conferma quanto sia importante, per molti lavoratori, avere chiarezza sulle prospettive di crescita offerte dall’organizzazione.

Il tema riguarda in particolare i profili professional (46%), per i quali la possibilità di crescere, acquisire nuove competenze e avanzare all’interno dell’azienda è spesso considerata una leva motivazionale fondamentale. Ma anche per i lavoratori operational, che in misura minore (39%) ma significativa, esprimono il bisogno di percorsi strutturati che permettano di vedere riconosciuto e valorizzato il proprio impegno.

Offrire una visione chiara e credibile delle opportunità di sviluppo significa consolidare la fiducia di tutte le risorse, favorendo una cultura orientata alla crescita e alla meritocrazia. In assenza di trasparenza, infatti, aumenta il rischio di disillusione e disingaggio, soprattutto in contesti in cui la progressione non è automatica ma richiede progettualità, ascolto e investimenti continui.

le differenze in base alla generazione.

Le generazioni oggi attive nel mondo del lavoro condividono alcune priorità - come l’equilibrio tra vita privata e professionale - ma presentano anche divergenze significative nei bisogni, nelle aspettative e nei driver motivazionali. 

La generazione Z, ad esempio, attribuisce grande importanza alla possibilità di apprendere, crescere e operare in un contesto inclusivo: è il gruppo con la più alta rappresentanza di minoranze (34%) e, al tempo stesso, quello che riferisce maggiori ostacoli nell’inserimento lavorativo. Eppure, si dimostra anche la generazione più ottimista rispetto ai progressi dei datori di lavoro in tema di equità e pari opportunità.

Rispetto alla Gen X e ai Baby Boomers, i più giovani (Gen Z e Millennials) attribuiscono meno valore alla stabilità e alla sicurezza del posto di lavoro, dando invece maggiore importanza all’atmosfera dell’ambiente di lavoro, al benessere quotidiano e al senso di appartenenza.

Non mancano però contraddizioni: sebbene la retribuzione non emerga tra i criteri principali per scegliere un datore di lavoro, la Gen Z è anche quella che più facilmente si sente demotivata quando le aspettative economiche non vengono soddisfatte, rivelando una disconnessione tra i valori dichiarati e ciò che realmente incide sull’engagement.

L’Intelligenza Artificiale rappresenta un altro fattore di differenziazione generazionale. La Gen Z è la più propensa a utilizzarla e ad attendersi un impatto positivo sul lavoro, ma è anche tra le più preoccupate per l’eventualità di perdere il proprio impiego.

Segnali di un atteggiamento ambivalente, che si riflette nella visione del lavoro come spazio in continua trasformazione, ricco di opportunità ma anche di incertezze. Comprendere queste sfumature è essenziale per attrarre, coinvolgere e trattenere talenti appartenenti a generazioni diverse.

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