In un mercato del lavoro dove la formazione continua è diventata una leva strategica per l’engagement e la crescita dei talenti, il mentoring si sta affermando come uno degli strumenti più efficaci per favorire il trasferimento di know-how, valorizzare il capitale umano e rafforzare la cultura aziendale.

Ma che cos’è, esattamente, il mentoring? E perché può rivelarsi così utile - se non addirittura decisivo - per i team HR?

Il mentoring è un percorso fondato sulla relazione umana, in cui una figura più esperta (il mentor) affianca un collega più junior (il mentee), accompagnandolo nello sviluppo professionale e nella crescita personale attraverso l’ascolto, il confronto e la condivisione di esperienze.

Attivare programmi di mentoring significa investire nel potenziale delle persone e costruire ponti tra generazioni, ruoli e competenze diverse. In questo articolo vedremo che cos’è il mentoring, come si distingue dal coaching e quali vantaggi può portare all’intera organizzazione.

mentoring
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differenze tra coaching e mentoring.

Coaching e mentoring sono due strumenti fondamentali nello sviluppo delle risorse umane, ma sostanzialmente diversi per finalità, modalità e dinamiche relazionali. Per le aziende - e in particolare per i team HR - comprendere la distinzione tra questi due approcci è essenziale per scegliere lo strumento giusto.

Il mentoring si basa su una relazione di lungo termine tra due persone: un mentor, figura senior con esperienza consolidata, e un mentee, una persona più giovane o con meno esperienza. L’obiettivo non è solo trasmettere competenze tecniche, ma accompagnare il mentee in un percorso di crescita, che tocca anche aspetti comportamentali, relazionali, culturali e valoriali. Il mentoring si fonda sulla fiducia, sulla reciprocità e sulla condivisione di esperienze vissute. È un processo meno strutturato rispetto al coaching, più aperto alla personalizzazione e all’ascolto attivo.

Il coaching, invece, è solitamente un intervento più breve e mirato. Viene attivato per raggiungere obiettivi precisi - ad esempio migliorare la leadership, affrontare una fase di cambiamento o affinare una competenza manageriale - e si basa su tecniche specifiche condotte da un coach professionista, spesso esterno all’azienda. Il coach non trasferisce conoscenza diretta, ma guida il coachee attraverso metodologie che favoriscono l’autoconsapevolezza e il cambiamento. Non dà consigli, ma aiuta la persona a trovare da sé soluzioni e strategie.

Un’altra differenza riguarda il tipo di relazione: nel mentoring, il mentor condivide la propria esperienza e agisce come modello, mentre nel coaching la relazione è paritaria e il focus è sul presente e sul futuro del coachee. Nel mentoring si guarda anche al passato, valorizzando il vissuto del mentor come risorsa per ispirare e orientare.

Entrambi gli strumenti possono coesistere e integrarsi all’interno di un’organizzazione, ma è fondamentale capire quando attivare l’uno o l’altro. Il mentoring è la scelta ideale quando si desidera favorire il senso di appartenenza, rafforzare la cultura aziendale e valorizzare le competenze interne. Il coaching, invece, è particolarmente utile in contesti di sfida individuale o transizione professionale.

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come sviluppare il mentoring in azienda.

Sviluppare un programma di mentoring efficace richiede una progettazione attenta, il coinvolgimento attivo delle persone giuste e, soprattutto, una visione chiara e condivisa sugli obiettivi da raggiungere.

Ecco i principali step per implementare un percorso di mentoring in azienda:

  • definire gli obiettivi. Il primo passo consiste nel chiarire perché si vuole attivare un percorso di mentoring. Per supportare il processo di onboarding? Favorire la crescita professionale in azienda? Preparare i futuri leader? Stimolare il dialogo intergenerazionale? Ogni obiettivo porterà a un’impostazione diversa del programma. Avere obiettivi chiari consente anche di misurarne l’efficacia del mentoring nel tempo;
  • identificare e formare i mentor. Non basta avere competenze tecniche o esperienza per essere un buon mentor. Servono anche ascolto attivo, disponibilità, empatia, capacità di fornire feedback e una forte propensione alla condivisione. Per questo è fondamentale selezionare i mentor con attenzione e offrire loro una formazione specifica, che li aiuti a comprendere il loro ruolo e a gestire al meglio la relazione con il mentee. In questo modo, si costruisce un percorso di mentoring non paternalistico, orientato allo sviluppo del personale e non al controllo;
  • selezionare i mentee e capire quali sono i loro obiettivi. Il mentoring funziona davvero solo se chi riceve il supporto è coinvolto e motivato. È quindi importante che i mentee vengano selezionati in base a criteri condivisi (es. potenziale, seniority, fase di carriera) e che siano messi nella condizione di definire, fin da subito, quali obiettivi desiderano raggiungere. Questo permette di rendere il percorso più mirato, concreto e personalizzato, evitando che si trasformi in un confronto generico privo di utilità;
  • selezionare le coppie mentor-mentee. Non si tratta solo di affiancare persone con background simili, ma di creare coppie che possano trarre valore reciproco dal confronto. In alcuni casi, può funzionare meglio un mentoring trasversale tra ruoli e funzioni diverse, per stimolare visioni nuove;
  • creare il percorso e definirne durata e modalità. È opportuno stabilire durata (es. 6 o 12 mesi), frequenza degli incontri, modalità di confronto (in presenza, online, in ufficio o fuori sede) e strumenti da utilizzare (template, diario di bordo, linee guida, …). Questo aiuta entrambi i partecipanti ad avere dei riferimenti chiari;
  • monitorare e raccogliere feedback. Un programma di mentoring efficace deve prevedere momenti di valutazione, sia individuali che collettivi. È utile chiedere ai mentor e ai mentee un feedback periodico sull’andamento degli incontri, sul grado di soddisfazione e sugli eventuali ostacoli riscontrati. Questo consente all’HR di intervenire tempestivamente in caso di criticità e di migliorare progressivamente il programma;
  • valutare l’impatto del mentoring sull’organizzazione. È importante misurare i risultati del mentoring sulla base degli obiettivi inizialmente prefissati. Si può valutare l’impatto in termini di retention, sviluppo di competenze, engagement, performance o mobilità interna. Anche i dati qualitativi (testimonianze, racconti di successo, nuove relazioni) sono utili per verificare il valore del percorso.

come il mentoring aiuta le risorse umane. 

Il mentoring è un potente alleato per la gestione delle risorse umane, in grado di generare valore su più livelli. Quando strutturato con attenzione, può diventare un volano per lo sviluppo organizzativo, contribuendo in modo concreto a rafforzare l’identità aziendale, migliorare il clima interno e trattenere i talenti.

Vediamo nel dettaglio come il mentoring può aiutare i team HR:

  • favorisce la trasmissione di know-how. Uno dei vantaggi più evidenti del mentoring è la possibilità di facilitare il trasferimento delle conoscenze. I mentor, spesso figure senior con anni di esperienza alle spalle, possono trasmettere non solo competenze tecniche, ma anche soft skills, valori e visione, difficili da apprendere con la sola formazione tradizionale. Questo aiuta a preservare il know-how interno e a rendere più fluido il ricambio generazionale;
  • supporta l’onboarding e l’integrazione dei nuovi assunti. Per chi entra in azienda, avere un mentor può fare la differenza. Essere affiancati da un collega esperto aiuta a orientarsi più velocemente, a comprendere le dinamiche aziendali e a sentirsi parte di un gruppo sin dai primi giorni. L’affiancamento riduce l’ansia da prestazione, stimola l’apprendimento attivo e accelera il processo di integrazione, con benefici evidenti anche in termini di produttività e retention. Per la funzione HR, questo significa poter contare su percorsi di inserimento più efficaci e meno dispersivi;
  • potenzia l’employer branding e la fidelizzazione. Attivare programmi di mentoring comunica un messaggio forte: l’azienda investe davvero nelle persone e nel loro sviluppo. Questo rafforza l’immagine dell’organizzazione come luogo di lavoro ideale, in cui si cresce e si è ascoltati e valorizzati. Il mentoring, in questo senso, diventa uno strumento di employer branding, in grado di attrarre profili qualificati e trattenere quelli già presenti in azienda. Per l’HR, significa disporre di un’arma in più nella gestione della guerra dei talenti;
  • favorisce lo sviluppo delle soft skills. Nel mentoring entrano in gioco ascolto, empatia, capacità di guidare l’altro, comunicazione efficace, gestione del tempo e delle priorità. I mentor stessi traggono grande beneficio dal percorso, sviluppando una leadership più matura e una maggiore consapevolezza del proprio ruolo. I mentee, dal canto loro, apprendono anche attraverso il modello comportamentale, acquisendo competenze che li rendono più spendibili all’interno dell’azienda;
  • crea relazioni. Un mentoring ben progettato può mettere in relazione persone che, nella normale vita aziendale, non avrebbero mai avuto occasione di interagire. Questo favorisce lo scambio di prospettive, la circolazione delle idee, la contaminazione tra approcci differenti e, più in generale, un senso di appartenenza diffuso;
  • fornisce agli HR uno strumento di osservazione. Per i team HR, il mentoring rappresenta anche una fonte preziosa di feedback. Osservare le dinamiche tra mentor e mentee permette di intercettare esigenze formative, fragilità organizzative e opportunità di sviluppo. Inoltre, i programmi di mentoring consentono di valorizzare risorse interne in ruoli di responsabilità, spesso senza dover ricorrere a interventi esterni. È una forma di crescita “dal basso”;
  • migliora il benessere e il clima aziendale. Sapere di avere un punto di riferimento con cui confrontarsi regolarmente, poter esprimere dubbi, ricevere consigli e sentirsi ascoltati è un fattore chiave per il benessere personale. In un periodo storico in cui burnout, stress da lavoro e isolamento relazionale sono fenomeni in crescita, il mentoring può rappresentare uno spazio protetto. E quando le persone stanno bene, anche l’organizzazione funziona meglio.

Il mentoring non è solo una buona pratica, ma una leva strategica per la resilienza aziendale. Attraverso connessioni autentiche, condivisione di know-how e supporto tra colleghi, le organizzazioni diventano più capaci di affrontare il cambiamento, trattenere i talenti e crescere in modo sostenibile.

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