Tre quarti dei Direttori HR italiani conoscono i principi della learning agility, solo uno su cinque in profondità. Nel 69% delle aziende si parla di applicarla in modalità di lavoro e cambiamenti organizzativi, solo nel 41% la sta già applicando. Le principali sfide HR 2020 sono incrementare performance e produttività, sviluppare leader di talento e attrarre nuovi talenti in azienda. Stress, demotivazione, sensazione di non appartenenza le prime forme di malessere organizzativo. Solo il 34% delle aziende valorizza l’eterogeneità delle risorse umane. Solo il 31% ha una cultura del feedback diffusa.


È la capacità di apprendimento che permette alle persone e ai gruppi di affrontare situazioni impreviste, come le tante sfide poste alle aziende dall’emergenza sanitaria, migliora efficacia, produttività e competitività in un contesto caratterizzato da cambiamento continuo, è efficace contro il malessere organizzativo. È la learning agility, un tema di cui si parla molto, ma le cui applicazioni concrete iniziano solo ora a farsi strada nelle aziende italiane. Ben due Direttori HR italiani su tre (il 76%) conoscono la cosiddetta “agilità di apprendimento”, anche se solo il 22% ne conosce a fondo i principi basati su flessibilità e predisposizione al cambiamento. Nel 69% delle organizzazioni si sta parlando di applicarla in modalità di lavoro e cambiamenti organizzativi, ma in realtà solo nel 41% la si sta già mettendo in pratica o quantomeno si cerca di favorirne i principi, mentre nel 28% dei casi l’azienda non si è ancora mossa (e nel 31% non se ne parla proprio).

Lo rivela l’HR Trends & Salary Survey 2020, la ricerca condotta da Randstad Professionals - la divisione specializzata nella ricerca e selezione di middle, senior e top management di Randstad - in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica, che tra il 19 febbraio e il 30 aprile 2020 ha intervistato con metodologia CAWI 465 Direttori HR italiani sulle principali tendenze nelle risorse umane. La ricerca quest’anno ha realizzato un focus sulla learning agility, tema strategico di grande rilevanza per le organizzazioni in un momento di profondo cambiamento, nel pieno della crisi causata dalla pandemia da Covid19 e della necessità di far fronte anche in azienda ad una nuova normalità.

“La learning agility è la capacità di individui, gruppi e organizzazioni di mettersi in gioco, affrontare le sfide e cavalcare l’onda del cambiamento, imparando dall’esperienza, dai successi e dai fallimenti - dice Marco Ceresa, Amministratore Delegato Randstad Italia -. Una capacità fondamentale in un mercato in evoluzione rapida e costante, quanto mai importante in un momento di profonda incertezza come quello della ripresa post emergenza Covid19.”

“La Direzione HR oggi ha un rinnovato ruolo strategico – continua Maria Pia Sgualdino, Head of Randstad Professionals - per il business delle aziende. Il suo compito è di applicare nel modo giusto i principi della learning agility secondo le specificità della propria organizzazione, estraendo e riadattando modelli di comportamento, facendo sviluppare nelle persone e nei gruppi quella propensione all’apprendimento che consente di rispondere in maniera veloce e performante alle sfide del futuro”.

“Una delle sfide rilevanti di questa ricerca - dice Caterina Gozzoli, direttrice dell’Alta Scuola in Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica -  riguarda l’agilità dell’apprendere, sia come professionisti sia come organizzazione complessiva, che fa intravedere le cose in una prospettiva nuova che dota di senso elementi ambigui e poco prevedibili”.

L’applicazione della learning agility - L’indagine rivela innanzitutto perché l’introduzione della learning agility oggi rappresenti un’esigenza per le imprese italiane. Benché la metà degli HR intervistati riconosca un buon livello di benessere e serenità nella propria organizzazione, infatti, solo il 21% dichiara che non ci sia alcuna forma di malessere: le prime 3 sono lo stress (50%), la demotivazione (39%) e la sensazione di non appartenenza (20%). E ben il 63% degli HR ritiene che i principi della learning agility costituiscano uno strumento efficace per contrastarli. Mentre il 62% pensa che sia utile per migliorare efficacia, produttività e competitività della propria azienda.

Solo nel 24% delle aziende i dipendenti riescono facilmente a comprendere le decisioni manageriali e solo nel 33% la vision aziendale è chiara e condivisa a tutti i livelli. Appena il 22% degli HR ritiene la sua azienda “capace di conciliare velocità e flessibilità necessarie all’azienda con il bisogno di stabilità dei dipendenti”, anche se un buon 46% ritiene che la sua azienda lasci spazio ai dipendenti per portare osservazioni critiche e propositive. Solo il 31% evidenzia figure di leadership in grado di entrare in sintonia con i collaboratori, il 30% leader capaci di non farsi travolgere dai propri stati emotivi e il 34% di non lasciarsi travolgere dagli stati emotivi altrui.

Secondo i direttori del personale italiani, la learning agility è da applicare prioritariamente nelle modalità di lavoro/dei processi interni e direzione operativa (secondo il 60% degli HR), poi nel cambiamento organizzativo (45%) e in minor misura nel clima interno (35%). La grande maggioranza degli HR (85%) concorda sul fatto che sia una competenza acquisibile, solo uno su sei invece ritiene che sia una caratteristica innata che non si può allenare.

 

Le sfide HR

Secondo il sondaggio, la principale sfida che gli HR dovranno affrontare nel 2020 è incrementare performance e produttività, individuata dal 46% dei responsabili, seguita dallo sviluppo di leader di talento (42%) e dall’attrazione di talenti (42%), poi la creazione di un buon ambiente di lavoro (41%) e il trattenimento dei candidati migliori (40%).

Le principali competenze richieste alla leadership sono la capacità di motivare e ispirare gli altri, indicata dal 65% degli HR, poi la capacità di adattarsi alle nuove esigenze dell’attività (53%) e la capacità di programmare (44%). Ma queste caratteristiche non sono tutte già presenti in egual misura nelle aziende: la capacità di motivare e ispirare gli altri c’è solo nel 31% delle organizzazioni, mentre la capacità di adattarsi alle nuove esigenze è presente in un buon 63% e la capacità di programmare il futuro nel 40%.

In azienda l'importanza del ruolo HR può crescere soprattutto coinvolgendo maggiormente la funzione Risorse Umane nelle decisioni strategiche (per il 37% degli intervistati) e poi allineando l’attitudine dei dipendenti alla cultura aziendale (30%) e sviluppando politiche di talent management (27%).

 

Il fattore competenza

La principale ragione per le assunzioni nel 2020 (nelle aziende in cui saranno previste) è la necessità di inserire nuove competenze, indicata dal 34% degli HR, seguita dalla crescita dell’organizzazione (21%), dal pensionamento dei dipendenti (21%) e dalla rotazione del personale (20%).

In caso di carenza di competenze, la grande maggioranza delle organizzazioni (59%) pianificherà programmi di istruzione e formazione, mentre il 20% aumenterà il ricorso a fornitori esterni. Una conferma del ruolo di primo piano della competenza nelle politiche HR viene dai processi di selezione dei candidati: l’elemento a cui le aziende stanno più attente al momento di decidere chi assumere sono le competenze professionali specifiche (indicato dal 60%), seguite dall’esperienza lavorativa nel settore (50%), dalla capacità di lavorare in gruppo (42%) e dall’attitudine relazionale e di comunicazione (38%).

 

Generazioni a confronto

Solo per il 39% degli HR italiani in azienda è presente un’eterogeneità delle risorse umane, cioè diversità di genere, età, provenienza geografica e formazione culturale. Ed ancora meno, il 34%, ritiene che l’azienda per cui lavora la favorisca come elemento positivo. I principi della learning agility si riscontrano maggiormente tra i millennials a cui, seppure rappresentano mediamente solo il 31% delle risorse aziendali, è attribuita maggiore aderenza, pari al il 58% della distribuzione totale (seguiti dalla generazione x dei 39-53enni, 29%).

 

Feedback ed errore

Nelle aziende è ancora poco diffusa la cultura del feedback ai dipendenti, importante per la crescita dei collaboratori e il miglioramento dei processi interni: solo il 31% ne fa uso. In quasi la metà delle aziende intervistate (48%) l’errore nello svolgimento delle attività lavorative è visto come fonte di apprendimento e di miglioramento, ma resta un 34% di aziende in cui è ancora considerato esclusivamente con valenza negativa (per il restante 18% “può capitare, se ne prende semplicemente atto”).