Retribuzione troppo bassa rispetto al costo della vita, mancanza di opportunità di crescita, scarso equilibrio tra vita privata e professionale: secondo l'Employer Brand Research, sono queste alcune delle principali motivazioni per cambiare lavoro.
Vediamo qual è oggi la situazione in Italia e quali sono i principali motivi che spingono le persone a cambiare occupazione.
key takeaways
- il 13% dei lavoratori italiani ha cambiato datore di lavoro negli ultimi 6 mesi
- Il 23% dei lavoratori italiani tra i 25 e i 34 anni con un alto livello di istruzione ha dichiarato di voler cambiare lavoro entro i primi 6 mesi del 2025
- i motivi per cambia lavoro non riguardano solo aspetti economici, ma comprendono anche il bisogno di riconoscimento, il desiderio di benessere e la ricerca di un contesto professionale più stimolante e allineato ai propri valori
Approfondisci i dati della Randstad Employer Brand Research.
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chi resta, chi cambia, chi vuole cambiare.
Prima di entrare nel dettaglio delle principali motivazioni per cambiare lavoro, è utile considerare come l’Employer Brand Research classifica i lavoratori intervistati.
La ricerca li suddivide in tre categorie:
- stayers, lavoratori attualmente assunti e soddisfatti del proprio impiego. Non hanno in programma di cambiare azienda e rappresentano la componente più stabile della forza lavoro;
- switchers, coloro che hanno effettivamente cambiato datore di lavoro negli ultimi 6 mesi;
- intenders, i lavoratori che, pur mantenendo ancora il loro attuale impiego, hanno intenzione di cambiarlo entro i prossimi 6 mesi. Si tratta di persone attivamente in cerca di nuove opportunità, spinte da un desiderio di crescita professionale o da insoddisfazione.
chi cambia lavoro: la fotografia in Italia.
Secondo l’Employer Brand Research, il 13% dei lavoratori italiani ha cambiato datore di lavoro negli ultimi 6 mesi, in lieve crescita rispetto al 12% registrato l’anno precedente. Al contrario, l’87% è rimasto nella stessa azienda.
Nel dettaglio, l’indagine si è concentrata sulla fascia di età 25-34 anni con livello di istruzione elevato. All’interno di questo segmento, emerge una maggiore disponibilità a valutare nuove opportunità lavorative.
La percentuale di switchers varia in base al tipo di figura professionale. Quella più alta si registra tra i lavoratori cosiddetti operational, con un turnover del 18%. Una dinamica che può essere letta anche alla luce della natura spesso precaria delle professioni appartenenti a questa categoria.
Tra i professional la quota di switchers scende al 13%, mentre tra i profili digital all’8%. Un dato interessante, se si considera che le professioni digitali sono oggi tra le più richieste. È probabile che questa bassa propensione al cambiamento dipenda dal fatto che chi possiede competenze digitali avanzate si trovi in una posizione di forza: proprio per il loro valore, queste figure vengono spesso trattenute in azienda attraverso politiche di retention mirate.
Il fatto che la percentuale di switchers sia aumentata mentre l’intenzione di cambiare è in calo suggerisce una crescente determinazione tra chi ha già maturato la decisione: quando si decide di cambiare lavoro, oggi lo si fa con più convinzione e rapidità.
cambiare lavoro: quando è il momento.
Il 23% dei lavoratori italiani tra i 25 e i 34 anni con un alto livello di istruzione ha dichiarato di voler cambiare datore di lavoro entro i primi 6 mesi del 2025. Si tratta di un dato in leggero calo rispetto al 25% dell’anno precedente, ma comunque rilevante.
Analizzando i dati per categoria professionale, anche in questo caso sono i lavoratori operational a registrare la percentuale più alta di intenders (23%), seguiti dai professional e dai digital (entrambi al 20%). Si conferma quindi il trend già visto tra gli switchers: i profili operational mostrano un maggiore desiderio di mobilità, forse spinti da condizioni di lavoro meno soddisfacenti o da una minore stabilità contrattuale.
È interessante notare che, a fronte di una leggera flessione nell’intenzione di cambiare lavoro, la percentuale di intenders resta comunque alta (leggi anche: per quali ragioni i dipendenti restano in azienda). Questo suggerisce che molti lavoratori stanno già attivamente riflettendo sul proprio futuro professionale: pur non avendo ancora individuato una nuova occupazione, stanno valutando alternative, aggiornando il proprio CV e monitorando con attenzione le opportunità offerte del mercato.
10 motivi per cambiare lavoro.
Cambiare occupazione è una decisione difficile, spesso influenzata da più fattori che si intrecciano tra loro: dall’insoddisfazione quotidiana al desiderio di affrontare nuove sfide, passando per esigenze economiche o personali.
Ecco 10 motivi per cambiare lavoro.
1. insoddisfazione.
Perché cambiare lavoro? Tra le motivazioni più frequenti che portano a valutare un cambio di occupazione c’è l’insoddisfazione. Può manifestarsi in molti modi - mancanza di stimoli, senso di inutilità, percezione di non essere valorizzati - e spesso è il primo segnale che qualcosa non funziona.
A spingere verso un nuovo impiego non è necessariamente un evento traumatico o una criticità specifica, ma una somma di piccoli fattori che nel tempo logorano il coinvolgimento e l’energia. Quando ogni giornata lavorativa inizia con fatica e termina con frustrazione, la domanda “perché continuare?” diventa inevitabile.
L’insoddisfazione lavorativa non riguarda solo le mansioni, ma anche il contesto: un ambiente poco meritocratico, la mancanza di riconoscimenti o una leadership scarsa. In molti casi, chi prova questo tipo di malessere non si sente più parte del progetto aziendale.
È in questi momenti che nasce il desiderio di un cambiamento, con l’obiettivo di ritrovare motivazione ed entusiasmo. Per molti, la scelta di trovare un’altra occupazione è un atto di tutela verso se stessi: un modo per recuperare benessere e dignità professionale.
2. mancanza di crescita professionale.
Secondo quanto emerso dall’Employer Brand Research, la mancanza di opportunità di crescita professionale si posiziona al terzo posto tra le cause che spingono i lavoratori a lasciare il proprio posto di lavoro.
Quando un impiego non offre prospettive di sviluppo, la motivazione si affievolisce. Le persone vogliono evolvere, acquisire nuove competenze e assumere maggiori responsabilità. Vogliono sentirsi sfidate, non incastrate in un ruolo che non cambia mai. E quando questa possibilità di crescita non arriva - o peggio, viene promessa e poi disattesa - il malcontento prende il sopravvento.
Chi sente di non avere più spazio per crescere, spesso inizia a guardare altrove. Perché il lavoro, oltre a garantire stabilità, dovrebbe anche rappresentare un’occasione continua di apprendimento e valorizzazione delle proprie capacità.
3. ambiente di lavoro tossico.
Tra le principali motivazioni per cambiare lavoro c’è anche l’ambiente di lavoro tossico. Conflitti costanti, pressioni eccessive, leadership autoritaria o colleghi competitivi in modo distruttivo minano il benessere quotidiano e la motivazione e, alla lunga, incidono anche sulla salute mentale.
In ambienti disfunzionali, dove il clima aziendale è pessimo, anche i talenti migliori fanno fatica a emergere. Le persone si chiudono, si sentono svalutate o isolate e ogni giornata lavorativa diventa un ostacolo da superare. Le tensioni rendono impossibile qualsiasi forma di collaborazione e la produttività ne risente in modo evidente.
Spesso non si tratta di episodi isolati, ma di dinamiche radicate nella cultura aziendale, che ostacolano qualsiasi reale tentativo di miglioramento. In questi casi, cambiare lavoro non è una scelta impulsiva, ma una necessità.
4. stipendio inadeguato.
Una retribuzione insoddisfacente resta la leva più forte che spinge le persone a cercare un nuovo impiego. Secondo l’Employer Brand Research, è il primo motivo per cui si decide di lasciare l’attuale datore di lavoro.
Uno stipendio non adeguato rispetto al ruolo, alle responsabilità o al costo della vita genera frustrazione. Il riconoscimento economico è anche un segnale concreto di quanto l’azienda investa nelle proprie persone. Se questo segnale manca, la ricerca di un’alternativa più giusta diventa inevitabile.
5. equilibrio vita-lavoro.
L’equilibrio tra lavoro e vita privata, per molti, è quasi altrettanto importante della retribuzione. Non è un “benefit”, ma un elemento centrale nella valutazione complessiva del benessere professionale.
Orari flessibili, possibilità di lavoro ibrido, rispetto dei tempi personali: quando questi aspetti mancano, la qualità della vita ne risente, con un impatto diretto sulla motivazione.
A spingere verso il cambiamento, in questi casi, non è la fatica del lavoro in sé, ma la sensazione di non avere spazio per se stessi al di fuori del lavoro. E quando il confine tra sfera privata e professionale si assottiglia troppo, cercare un contesto più rispettoso dei propri tempi diventa una scelta quasi obbligata.
6. nuove sfide.
Quando un impiego diventa ripetitivo, prevedibile e privo di stimoli, può trasformarsi in un freno per la motivazione. Il senso di stagnazione, la sensazione di non apprendere nulla di nuovo o di non contribuire in modo significativo al progresso dell’organizzazione, spinge molti a guardarsi intorno in cerca di contesti più dinamici.
Tra le principali motivazioni per cambiare lavoro, il bisogno di affrontare nuove sfide occupa un posto di rilievo, soprattutto per chi ha un forte orientamento alla crescita e non si accontenta di “portare a casa lo stipendio”.
7. crescita personale.
Per molti professionisti, la spinta arriva da dentro: il desiderio di evolvere come persone, non solo come lavoratori. Quando il lavoro non offre più stimoli, quando si ha la sensazione di essere rimasti fermi troppo a lungo, la necessità di cambiare diventa anche una scelta di coerenza con se stessi.
Crescita personale significa acquisire nuove competenze, mettersi alla prova in contesti differenti, sperimentare punti di vista nuovi. Ma vuol dire anche allineare vita professionale e valori personali, scegliere un’azienda che rispecchi la propria visione del mondo, uscire da situazioni in cui ci si sente limitati, sminuiti o semplicemente fuori posto.
In questo senso, cambiare occupazione può rappresentare un atto di autodeterminazione. Un modo per prendere in mano il proprio percorso e farlo evolvere nella direzione giusta.
8. stabilità.
Perché si vuole cambiare lavoro? Tra i fattori principali che spingono i lavoratori a cercare un nuovo impiego c’è la mancanza di stabilità. Contratti a termine, riorganizzazioni frequenti, incertezza sul futuro: sotto tutte condizioni che generano insicurezza, minano la motivazione e rendono difficile costruire una prospettiva di lungo periodo.
In molti casi, non è tanto la posizione a essere insoddisfacente, quanto il contesto in cui si inserisce: l’assenza di garanzie, la difficoltà a fare progetti, la sensazione costante di essere facilmente sostituibili. È proprio in queste situazioni che la ricerca di una nuova opportunità diventa una necessità più che un desiderio.
Oggi più che mai, la stabilità è vista come una condizione abilitante: permette di crescere, di affrontare nuove sfide e di investire in se stessi con maggiore serenità. Per questo, quando manca, diventa una ragione concreta per rimettersi in gioco.
9. relazioni lavorative.
Le dinamiche interpersonali sul posto di lavoro influiscono in modo profondo sul benessere quotidiano. Conflitti, mancanze di rispetto, isolamento o assenza di collaborazione possono trasformare anche il lavoro più stimolante in una fonte costante di stress.
Quando la relazione con colleghi o superiori diventa faticosa, il senso di appartenenza si affievolisce e la motivazione cala. Proprio per questo, le relazioni lavorative, quando si dimostrano difficili, rappresentano una delle principali motivazioni per cambiare lavoro.
Non basta un buon contratto o un progetto interessante se il contesto in cui si opera è tossico o frustrante. Al contrario, un ambiente in cui ci si sente valorizzati, ascoltati e sostenuti può fare la differenza nel lungo periodo.
10. trasferimenti geografici.
All’ultimo posto tra i 10 motivi per cambiare lavoro ci sono i trasferimenti geografici, spesso imposti da scelte aziendali unilaterali o da nuove condizioni logistiche non compatibili con la vita privata.
Quando un cambiamento di sede comporta uno squilibrio importante - in termini di tempo, costi, gestione familiare o qualità della vita - molti dipendenti scelgono di rimettere in discussione il proprio impiego. A volte si tratta di trasferimenti temporanei, altre volte di spostamenti definitivi che non lasciano alternative se non quella di cercare un nuovo lavoro.
Anche in questo caso, il tema non è solo pratico: entra in gioco il senso di controllo sulla propria quotidianità, il bisogno di stabilità e la possibilità di conciliare lavoro e vita personale. Quando questi equilibri saltano, la mobilità diventa la soluzione per cambiare direzione.
Per le aziende, ignorare i motivi che spingono i lavoratori a trovare un’altra occupazione significa esporsi al rischio di perdere talenti preziosi. Per i dipendenti, invece, riconoscerli può rappresentare il primo passo verso una scelta più consapevole.