Lasciare un lavoro è una scelta che spesso porta con sé dubbi e incertezze, soprattutto quando ci si interroga su come questa decisione possa influire sul diritto alla disoccupazione.

Poter contare su un sostegno economico durante la ricerca di una nuova occupazione è una condizione fondamentale per molti lavoratori. Tuttavia, non sempre il diritto alla disoccupazione è garantito quando si rassegnano le dimissioni.

La normativa italiana, infatti, prevede regole specifiche per accedere alle indennità di disoccupazione, che variano in base alle motivazioni che hanno determinato il licenziamento o le dimissioni.

Sapere quali sono le modalità di accesso a queste indennità e i requisiti che è necessario rispettare per godere di questi benefici è essenziale per chiunque stia valutando la possibilità di lasciare il proprio impiego.

“Se mi licenzio ho diritto alla disoccupazione?”: proviamo a rispondere a questa domanda, chiarendo in quali circostanze è possibile ottenere questo sussidio economico anche dopo essersi dimessi.

se mi licenzio ho diritto alla disoccupazione
se mi licenzio ho diritto alla disoccupazione

cosa sono le indennità di disoccupazione?

Le indennità di disoccupazione sono misure di sostegno economico destinate a determinate categorie di lavoratori che si trovano in stato di disoccupazione involontaria. Si tratta di un aiuto temporaneo pensato per garantire un minimo di stabilità economica durante la ricerca di una nuova occupazione e il reinserimento nel mondo del lavoro.

Pur essendo riservate principalmente a chi è stato licenziato, queste indennità, come vedremo più avanti nell’articolo, possono essere concesse anche in specifiche circostanze in cui il lavoratore decide di rassegnare le dimissioni.

L’ordinamento italiano prevedeva 4 tipologie di indennità di disoccupazione:

  • NASpI;
  • DIS-COLL;
  • indennità di mobilità (ora abrogato);
  • indennità di disoccupazione per il settore edile (ora abrogato.

La NASpI - Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego - è un’indennità mensile di disoccupazione destinata ai lavoratori subordinati e in somministrazione che hanno perso involontariamente la propria occupazione a seguito di eventi verificatisi dal 1° maggio 2015. Per accedere alla NASpI è necessario presentare apposita domanda attraverso il portale dell’INPS.

Anche la DIS-COLL è erogata dall'INPS e si rivolge a chi ha perso involontariamente la propria occupazione. Questa indennità di disoccupazione, però, è destinata ai soggetti iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata INPS, non pensionati e privi di partita IVA.

L’indennità di mobilità è un ammortizzatore sociale a sostegno di lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato licenziati da aziende in crisi che hanno accesso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) e che appartengono a determinati settori economico-produttivi. Questa misura sostituisce temporaneamente la retribuzione, con l’intento di agevolare il reinserimento dei lavoratori licenziati nel mondo del lavoro.

I lavoratori subordinati impiegati nell’edilizia e i soci di cooperative edili hanno diritto all’indennità di disoccupazione per il settore edile in caso di licenziamento dovuto a cessazione dell’attività aziendale, completamento del cantiere o di una fase di lavorazione, riduzione del personale o fallimento di imprese edili e affini.

Dal 1° gennaio 2017, in conformità a quanto previsto dalla Legge n. 92 del 28 giugno 2012, sia l’indennità di mobilità che quella di disoccupazione specifica per il settore edile sono state sostituite dalla NASpI per tutti i licenziamenti intervenuti dopo il 31 dicembre 2016.

licenziarsi senza perdere il diritto alla disoccupazione.

Generalmente, le indennità di disoccupazione sono riservate a chi perde involontariamente la propria occupazione e non a chi se sceglie di lasciare volontariamente il proprio posto di lavoro. Tuttavia, esistono situazioni particolari in cui anche chi si dimette può avere diritto a questi sussidi economici (leggi anche: come dare le dimissioni volontarie).

La risposta alla domanda “se mi licenzio ho diritto alla disoccupazione?” è affermativa, ma soltanto in casi specifici. Il lavoratore può accedere alle indennità di disoccupazione se si dimette per giusta causa, ossia in presenza di condizioni particolarmente gravi che rendono insostenibile il proseguimento del rapporto di lavoro, o se viene licenziato per motivi disciplinari, che rientrano cioè nella fattispecie del licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.

dimissioni per giusta causa.

Le dimissioni per giusta causa sono disciplinate dall’articolo 2119 del codice civile, il quale stabilisce che lavoratore e datore di lavoro possono recedere dal contratto di lavoro in presenza di circostanze talmente gravi da rendere impossibile la prosecuzione, anche solo provvisoria, del rapporto di lavoro.

L’istituto prevede la risoluzione immediata del contratto di lavoro a seguito di inadempimenti gravi degli obblighi contrattuali da parte del datore di lavoro. Tuttavia, i lavoratori possono dimettersi per giusta causa anche in situazioni che rendono impossibile o intollerabile continuare a svolgere la propria attività. La giusta causa risiede in fatti come il mancato pagamento della retribuzione per un periodo prolungato o il subire molestie o discriminazioni sul luogo di lavoro e non in condizioni di malcontento dell'attività lavorativa espletata.

Nel caso di un contratto a tempo determinato, il recesso può avvenire anticipatamente rispetto alla scadenza naturale del termine. Per i contratti a tempo indeterminato, invece, le dimissioni per giusta causa sono consentite senza necessità di preavviso (scopri di più sulle dimissioni senza preavviso).

La giusta causa per dimissioni è ravvisabile in casi come:

  • mancato o ritardato pagamento dello stipendio;
  • omesso versamento dei contributi, purché tale inadempimento non sia stato tollerato a lungo dal dipendente;
  • comportamenti offensivi o ingiuriosi da parte del superiore gerarchico, lesivi della dignità del lavoratore;
  • richiesta di prestazioni illecite, ovvero attività che violano norme di legge, da parte del datore di lavoro;
  • mobbing;
  • molestie sessuali sul luogo di lavoro;
  • demansionamento ingiustificato;
  • trasferimento in un’altra sede in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, come previsto dall’articolo 2103 del codice civile.

In aggiunta, il comma 4 dell’articolo 2112 del codice civile prevede che i dipendenti di un’impresa ceduta hanno la facoltà di dimettersi per giusta causa, cioè di interrompere immediatamente il rapporto di lavoro senza necessità preavviso, entro 3 mesi dal trasferimento d’azienda, qualora si verifichino sostanziali modifiche delle condizioni di lavoro.

Tale diritto prescinde dalla necessità che si verifichi un evento ravvisabile come giusta causa, potendo derivare, ad esempio, dalla modifica del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicabile o da altre condizioni che incidono in modo significativo sulle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

In questi casi, il lavoratore che si dimette per giusta causa, oltre a essere esonerato dall’obbligo di preavviso in presenza di un contratto a tempo indeterminato, ha anche diritto ad accedere alle indennità di disoccupazione (NASpI).

Questo è possibile perché le dimissioni per giusta causa non sono considerate una scelta volontaria del lavoratore, ma una conseguenza di circostanze particolarmente gravi imputabili al datore di lavoro, al contesto lavorativo e, in alcuni casi, a impedimenti personali che rendono impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Dal 2016, le dimissioni, anche quelle per giusta causa, devono essere presentate per via telematica tramite il portale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, accedendo al sito www.lavoro.gov.it.

La procedura telematica è obbligatoria per formalizzare l’atto con cui il lavoratore recede unilateralmente dal contratto che lo vincola al datore di lavoro. Le dimissioni (salvo i casi di esclusione previsti dalla norma) sono efficaci in virtù solo della effettuazione della procedura telematica, senza ulteriori adempimenti, tuttavia le aziende potrebbero chiedere ai dipendenti di scrivere una lettera di dimissioni da consegnare con una firma in calce.

licenziamento per motivi disciplinari.

Anche i lavoratori licenziati per motivi disciplinari, ovvero per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, possono accedere alle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, come stabilito dall’art. 3 della legge n. 604 del 15 luglio 1966, può essere applicato quando il lavoratore mette in atto comportamenti che, pur non così gravi da giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro, compromettono la fiducia tra le parti. Solitamente, in questi casi, il datore di lavoro invia una lettera di richiamo al dipendente (leggi anche: come rispondere a una lettera di richiamo).

I motivi che possono giustificare questa tipologia di licenziamento sono:

  • comportamenti non compatibili con le esigenze aziendali, come ad esempio il rifiuto di collaborare con i colleghi o con la direzione, che ostacola lo svolgimento dell’attività lavorativa;
  • inadempimenti contrattuali, come assenze o ritardi ripetuti e ingiustificati, scarso rendimento o mancato rispetto delle mansioni assegnate;
  • conflitti interpersonali, ovvero difficoltà relazionali con colleghi o superiori, che generano tensioni o conflitti tali da compromettere il clima aziendale.

Si parla, invece, di licenziamento per giusta causa quando la condotta del lavoratore è talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione, anche in via provvisoria, del rapporto di lavoro.

Esempi di comportamenti che possono giustificare questa forma di licenziamento sono:

  • furto o appropriazione indebita di beni aziendali;
  • diffamazione dell’azienda o dei suoi prodotti;
  • abbandono ingiustificato del posto di lavoro, soprattutto se ciò comporta rischi per la sicurezza;
  • atti intimidatori o minacce rivolte a colleghi o superiori;
  • gravi episodi di insubordinazione, come minacce, offese o rifiuto di svolgere le mansioni assegnate;
  • danneggiamento volontario di beni aziendali;
  • dichiarazioni mendaci riguardanti infortuni o malattie;
  • false timbrature o registrazioni del cartellino;
  • violazione di obblighi contrattuali, come il patto di non concorrenza;
  • abuso dei permessi concessi dalla legge 104/1992;
  • condotte penalmente rilevanti estranee all'ambiente di lavoro, se tali atti compromettono il rapporto di fiducia tra le parti.

Il licenziamento per motivi disciplinari rientra tra le situazioni di perdita involontaria dell’occupazione e rappresenta quindi una condizione di necessità per il lavoratore. Per questo motivo, garantisce il diritto all’indennità di disoccupazione, con l’obiettivo di agevolare il reinserimento del lavoratore nel mercato del lavoro e mitigare l’impatto della disoccupazione sulla sua vita personale.