Le dimissioni di una risorsa arrivano spesso come una sorpresa, ma raramente lo sono davvero. Esistono segnali che, se colti in tempo, permettono di sapere chi sono i dipendenti a rischio fuga e intervenire con strategie mirate prima che sia troppo tardi.
indice dei contenuti:
punti chiave da ricordare:
- per individuare i dipendenti a rischio fuga serve un processo strutturato di valutazione dei talenti
- le motivazioni che spingono a lasciare non sono solo economiche, ma riguardano anche l’equilibrio vita-lavoro, la crescita professionale, la qualità della leadership e i valori aziendali
- esistono numerosi segnali a cui bisogna prestare attenzione per prevenire il rischio di dimissioni: calo della motivazione e della produttività, assenze frequenti, isolamento dal team o disinteresse per la crescita interna
- la prevenzione del rischio fuga è efficace solo se diventa parte integrante di una cultura aziendale fondata su ascolto, trasparenza e attenzione alle persone
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scarica oraperché un dipendente può diventare a rischio di fuga.
Secondo il Pulse of Talent 2024 di Dayforce, quasi sette lavoratori su dieci (69%) a livello globale sono dipendenti a rischio fuga. Un dato che trova riscontro anche nell’Employer Brand Research di Randstad: il 23% degli intervistati dichiara di voler cambiare datore di lavoro nei prossimi sei mesi.
Dietro a queste percentuali ci sono ragioni concrete che spingono i talenti a guardarsi intorno: non solo motivazioni economiche, ma anche di benessere e crescita professionale. Comprenderle è essenziale per anticipare il rischio di dimissioni e implementare strategie di retention efficaci.
Ma perché un dipendente può diventare a rischio fuga? L’Employer Brand Research individua i motivi più ricorrenti che spingono le persone a lasciare un datore di lavoro:
- retribuzione troppo bassa rispetto al costo della vita. Non si tratta soltanto di stipendio nominale, ma della percezione complessiva di equità rispetto al mercato, ai colleghi e al valore che si porta in azienda. Quando i salari non tengono il passo con l’inflazione o con le offerte dei competitor, i dipendenti iniziano a guardarsi intorno;
- scarso equilibrio lavoro-vita privata. Orari troppo rigidi, la richiesta continua di straordinari o il rientro forzato in ufficio dopo periodi di smart working finiscono per ridurre il senso di benessere in azienda;
- assenza di crescita professionale. Restare nello stesso ruolo per anni senza possibilità di avanzamento demotiva. Le persone cercano nuove competenze e responsabilità, non solo aumenti di stipendio;
- offerta di lavoro irrinunciabile. Quando un talento riceve un’offerta che unisce stipendio competitivo, benefit e flessibilità, la tentazione di cambiare diventa forte. Il fenomeno riguarda soprattutto le figure più qualificate e richieste che, in un mercato del lavoro segnato sempre più da carenza di talenti e skill shortage, sanno di avere ampio margine di scelta;
- pochi vantaggi/benefit. Pacchetti standardizzati e legati a servizi non realmente utili non vengono percepiti come un vantaggio. Quando i benefit non rispondono ai bisogni reali dei lavoratori, questi ultimi faticano a vedere un valore aggiunto nel restare;
- perdita di interesse per il lavoro. Mansioni ripetitive, scarsa possibilità di mettere a frutto le competenze acquisite o mancanza di riconoscimento logorano la motivazione e l’uscita diventa quasi inevitabile;
- tragitto casa-lavoro troppo lungo. Dopo l’esperienza dello smart working emergenziale, sempre più persone considerano il tragitto casa-lavoro un costo insostenibile in termini di tempo ed energie;
- instabilità finanziaria dell’azienda. Notizie su cali di fatturato, cambi di management o voci di ristrutturazione interna generano preoccupazione. Le risorse più qualificate e appetibili sul mercato del lavoro non aspettano che i problemi diventino reali. Preferiscono muoversi per tempo, scegliendo contesti più solidi;
- opzioni di lavoro flessibile insufficienti. Quando la possibilità di gestire tempi e luoghi di lavoro dipende troppo dalla discrezionalità del manager o varia da team a team, i dipendenti percepiscono disparità e ingiustizia;
- pessimo rapporto con il manager. Un manager incapace di valorizzare le persone, che esercita un controllo eccessivo o che non sa fornire feedback costruttivi crea un clima di lavoro tossico. Se il rapporto con il superiore diventa insostenibile, la maggior parte dei dipendenti preferisce andarsene;
- leadership scarsa. La mancanza di coerenza tra ciò che il management dichiara e ciò che mette in pratica genera sfiducia e cinismo e fa aumentare il numero di dipendenti a rischio fuga;
- valori D&I non in linea. Se un dipendente non si sente rappresentato o tutelato, tenderà a cercare un ambiente più aperto e accogliente. La mancanza di politiche D&I non è solo un problema di immagine, ma un fattore che incide direttamente sulla retention;
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scarica oracome prevenire il rischio di fuga.
Individuare le cause che spingono i dipendenti a lasciare è solo il primo passo. Per ridurre concretamente il rischio di fuga serve mettere in campo azioni mirate, coerenti e percepite come autentiche dalle persone.
Ecco alcune leve su cui le aziende possono lavorare:
- politiche retributive eque e trasparenti. Adeguare periodicamente gli stipendi al mercato, riconoscere premi legati ai risultati e comunicare in modo chiaro i criteri con cui vengono definiti i compensi rafforza il senso di equità e riduce la tentazione di guardarsi intorno;
- flessibilità e work-life balance. Modelli di lavoro ibridi, orari flessibili e autonomia nella gestione del tempo consentono di conciliare meglio vita privata e lavoro e incidono direttamente sulla soddisfazione dei dipendenti;
- percorsi di crescita. Piani di formazione continua e opportunità di mobilità interna consentono alle persone di sperimentare ruoli diversi e acquisire nuove competenze, evitando la sensazione di stagnazione. Mostrare che esiste un futuro in azienda è uno dei fattori più potenti per ridurre il turnover;
- pacchetti di benefit personalizzati. Creare piani di welfare realmente utili per i dipendenti aumenta la percezione di attenzione verso i bisogni concreti delle persone;
- riconoscimento e motivazione. Celebrare i risultati, valorizzare le competenze e proporre sfide stimolanti mantiene alto l’engagement. Anche piccoli gesti di riconoscimento quotidiano hanno un impatto significativo sulla motivazione;
- stabilità e trasparenza. Comunicare in modo chiaro gli obiettivi aziendali, spiegare il perché di certe decisioni e rassicurare i dipendenti nei momenti di cambiamento rafforza la fiducia;
- manager preparati. Investire nella formazione dei leader, affinché sappiano motivare, ascoltare e gestire i conflitti, è fondamentale;
- valori condivisi e inclusione. Politiche concrete di D&I e impegni credibili sul piano etico rafforzano il senso di appartenenza all’organizzazione. Quando i dipendenti si sentono rappresentati, sono meno propensi a guardarsi intorno;
- equità e trasparenza nei processi. Definire criteri chiari per promozioni e avanzamenti di carriera riduce la percezione di ingiustizia e rafforza il legame con l’azienda.
i segnali che possono indicare un rischio di fuga.
Riconoscere in tempo i dipendenti a rischio fuga è fondamentale per prevenire dimissioni improvvise e ridurre i costi legati al turnover. Non esistono formule matematiche, ma ci sono alcuni segnali che permettono di capire quando una persona si sta guardando intorno. Alcuni di questi sono più evidenti, altri meno: tutti, però, vanno interpretati in relazione al contesto, incrociando osservazione diretta e strumenti di analisi HR.
Ecco i principali segnali a cui prestare attenzione:
- calo della motivazione e dell’engagement. Un dipendente che fino a poco tempo fa era proattivo e coinvolto e che improvvisamente appare disinteressato può nascondere un malessere. Si nota nella partecipazione alle riunioni, nell’entusiasmo per i progetti e nella disponibilità a proporre idee nuove. Quando la motivazione cala, il rischio di fuga cresce in modo esponenziale (leggi anche: come motivare i talenti in azienda);
- diminuzione della produttività. Un calo costante delle performance, soprattutto se non giustificato da fattori esterni, è spesso un segnale di distacco emotivo dal lavoro. Non si tratta solo di errori che diventano più frequenti, ma anche di scadenze mancate, attività svolte in modo superficiale o scarsa attenzione ai dettagli;
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scarica ora- aumento delle assenze. Un numero elevato di giorni di malattia, richieste improvvise di ferie o permessi ripetuti possono indicare che il dipendente sta prendendo le distanze dall’azienda. In alcuni casi, le assenze frequenti coincidono con colloqui presso altre aziende o con il bisogno di staccare da un ambiente non più motivante;
- cambiamento di atteggiamento verso colleghi e manager. I rapporti interpersonali sono un termometro importante. Se una persona inizia a isolarsi, a ridurre la comunicazione o a mostrare insofferenza verso i superiori, è probabile che stia perdendo fiducia nell’organizzazione. Anche conflitti improvvisi o frequenti segnalano la presenza di dipendenti a rischio fuga;
- meno interesse per la crescita interna. Quando un dipendente non partecipa attivamente a percorsi di sviluppo o non chiede di assumere nuove responsabilità, significa che non vede più il proprio futuro in azienda. Questo atteggiamento è particolarmente evidente nei profili ad alto potenziale, che normalmente ricercano stimoli continui e opportunità di avanzamento;
- aggiornamenti LinkedIn più frequenti. Può sembrare banale, ma l’aumento di attività su LinkedIn o su altre piattaforme professionali spesso precede la ricerca attiva di un nuovo lavoro. Aggiornare il profilo, ampliare la rete di contatti o interagire più assiduamente con recruiter e contenuti di settore è un segnale da non sottovalutare;
- richieste insolite o improvvise. Un dipendente che chiede con insistenza aumenti, promozioni o cambi di ruolo può segnalare una fase di insoddisfazione. Se l’azienda non riesce a rispondere a queste esigenze, la probabilità di fuga cresce rapidamente, perché la persona cercherà all’esterno ciò che non trova internamente;
- diminuzione della disponibilità a fare di più. Chi sta pensando di lasciare raramente accetta straordinari, trasferte o incarichi aggiuntivi. È una forma implicita di disinvestimento. Non ha senso impegnarsi oltre il minimo quando non ci si vede più in azienda a lungo termine.
Individuare questi segnali non significa etichettare automaticamente una persona come “perduta”, ma permette di attivare strategie di retention mirate prima che la decisione diventi definitiva.
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scarica oracome eseguire una valutazione per identificare i dipendenti a rischio di fuga.
Per individuare i dipendenti a rischio fuga non bisogna affidarsi all’intuito o, peggio ancora, aspettare che arrivi la lettera di dimissioni. Serve un processo strutturato di valutazione, che combini dati oggettivi e osservazioni qualitative, per capire chi potrebbe lasciare l’organizzazione e con quale impatto.
Una valutazione ben impostata consente non solo di prevenire uscite improvvise, ma anche di rafforzare capacità di retention ed engagement.
Ecco come eseguire una valutazione per identificare i dipendenti a rischio fuga:
- Raccogliere e organizzare i dati. Il punto di partenza è la raccolta di informazioni sui dipendenti, sia sugli attuali che sugli ex collaboratori. Analizzare i percorsi di chi ha già lasciato l’azienda aiuta a individuare pattern ricorrenti (posizione ricoperta, tempi di permanenza nello stesso ruolo, mancate promozioni, risultati nelle performance review, feedback ricevuti dai colleghi). Questi dati possono essere raccolti tramite software HR, survey interne o anche fogli di calcolo, l’importante è che siano strutturati e aggiornati.
- Analizzare e interpretare i dati. Una volta raccolte le informazioni, è necessario interpretarle per capire quali profili sono più esposti al rischio di abbandono. Non si tratta solo di guardare a chi ha performance in calo. A volte sono proprio i migliori talenti, quelli più corteggiati dal mercato, a essere i primi candidati a lasciare. Oggi molte aziende utilizzano strumenti di analisi predittiva per stimare la probabilità di fuga, incrociando variabili quantitative (anzianità, retribuzione, risultati) e qualitative (motivazione, coinvolgimento, aspettative di crescita).
- Stabilire priorità di intervento. Non tutti i dipendenti hanno lo stesso impatto se decidono di lasciare. Per questo è utile utilizzare una matrice che combini due dimensioni: la probabilità di abbandono e l’impatto che quell’uscita avrebbe sull’organizzazione. Ci sono figure che, anche se a basso rischio, genererebbero conseguenze enormi per la perdita di competenze critiche; al contrario, ci sono risorse a rischio alto, ma facilmente sostituibili. Concentrare le energie dove il rischio e l’impatto sono entrambi elevati permette di usare le risorse HR in modo più mirato.
- Definire le azioni da mettere in campo. La valutazione ha senso solo se porta a decisioni concrete. Una volta identificati i dipendenti a rischio fuga, le risorse umane e i manager devono intervenire con misure mirate: colloqui di “stay interview” per comprendere i bisogni, piani di sviluppo personalizzati, ridistribuzione delle competenze, percorsi di crescita o revisione dei pacchetti retributivi. Anche azioni di ascolto costante, come survey periodiche e incontri individuali, sono fondamentali per capire dove intervenire prima che la situazione degeneri.
La valutazione per identificare i dipendenti a rischio fuga si rivela davvero efficace solo se diventa parte integrante di una cultura aziendale orientata all’ascolto e alla trasparenza. Il monitoraggio dei segnali di malessere, l’analisi dei dati e l’implementazione di azioni correttive devono rientrare in una strategia strutturata di gestione dei talenti, non essere misure isolate e straordinarie.
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