Negli ultimi anni, sempre più lavoratori con un regolare contratto da dipendente scelgono di aprire la partita IVA e mettere in piedi un’attività in proprio per migliorare la propria condizione economica o realizzare un sogno nel cassetto. 

Molti, infatti, vedono nella partita IVA non solo un’opportunità economica, ma anche un modo per mettere a frutto competenze specifiche che non trovano piena realizzazione nel lavoro dipendente e trasformare una passione in una fonte di guadagno.

I dati confermano questa tendenza: nel mondo del lavoro attuale, il numero di lavoratori dipendenti impiegati in aziende del settore pubblico o privato che scelgono di avviare un’attività autonoma aprendo una partita IVA è in costante aumento.

La domanda sorge spontanea: è sempre possibile avere un contratto dipendente e, allo stesso tempo, aprire la partita IVA? E soprattutto, quando i due redditi - autonomo e da lavoro dipendente - possono coesistere senza creare problemi al fisco?

Scopriamo cosa prevede la normativa in merito alla possibilità di combinare partita IVA e lavoro dipendente.

partita IVA lavoro dipendente
partita IVA lavoro dipendente

contratto da dipendente e partita IVA: le differenze.

Contratto dipendente e partita IVA possono coesistere? La risposta è “dipende”, perché ogni situazione è a sé e deve essere valutata in base al caso specifico.

La valutazione deve tenere conto di due aspetti principali per determinare se questa combinazione è fattibile.

Innanzitutto, bisogna verificare se l’attività autonoma che si intende avviare richiede necessariamente l’apertura della partita IVA. In alcune circostanze, sebbene rare, non è obbligatorio aprirla. 

Un esempio sono le prestazioni occasionali, ovvero attività autonome svolte saltuariamente e limitate nei guadagni che se ne possono trarre, dove l’aspetto intellettuale della prestazione prevale rispetto all’organizzazione del lavoro e delle risorse.

Un’altra eccezione riguarda i redditi derivanti da royalties. Questi includono i compensi percepiti per lo sfruttamento economico del diritto d’autore o di brevetti, marchi, opere artistiche o ingegneristiche. Anche in questo caso, non è richiesta l’apertura di una partita IVA perché i redditi derivano da diritti patrimoniali e non da un’attività continuativa.

Per tutte le altre tipologie di attività, come quelle imprenditoriali, artigianali o professionali svolte con regolarità, l’apertura della partita IVA è sempre obbligatoria.

Il secondo fattore da valutare per determinare la compatibilità tra lavoro dipendente e partita IVA è il settore in cui si opera, pubblico o privato.

nel mondo del lavoro privato.

Non esistono limitazioni di legge che impediscano ai lavoratori dipendenti del settore privato l’apertura della partita IVA per svolgere una seconda attività lavorativa. In generale, quindi, è possibile conciliare il lavoro subordinato con un’attività autonoma, sia essa esercitata come libero professionista o come ditta individuale.

Ciò a cui bisogna prestare attenzione è il patto di non concorrenza. Il riferimento giuridico è l'articolo 2105 del codice civile, che vieta al lavoratore dipendente di intraprendere attività in concorrenza con quella svolta per conto del proprio datore di lavoro, sia a titolo personale che collaborando con terzi.

Inoltre vi è un riferimento di legge recente relativo al cumulo di impieghi (articolo 8, d.lgs. n. 104/2022), per cui "è consentito al datore di lavoro di limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di altra attività se la diversa e ulteriore attività sia in conflitto di interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà”.

La violazione di questo obbligo può comportare conseguenze gravi per il dipendente, come il licenziamento per giusta causa o la richiesta di risarcimento danni da parte del datore di lavoro, qualora si dimostri che l’attività concorrenziale abbia arrecato un danno all’azienda.

Inoltre, è essenziale osservare l’obbligo di riservatezza, che impone al dipendente di non divulgare a terzi informazioni aziendali riservate acquisite durante lo svolgimento delle proprie mansioni. Questo principio si applica a tutti i lavoratori dipendenti, con contratto a tempo determinato o indeterminato, full-time o part-time, indipendentemente dal tipo di attività autonoma avviata.

Se la nuova attività imprenditoriale o professionale che si intende avviare non interferisce con quella svolta come dipendente, né si viola l’obbligo di riservatezza, lavoro dipendente e partita IVA possono coesistere senza problemi.

Dal punto di vista normativo, non vi è un obbligo esplicito per il dipendente di comunicare al proprio datore di lavoro l’apertura della partita IVA, a meno che ciò non sia espressamente previsto nel contratto di lavoro. 

Tuttavia, è fortemente consigliato informare il proprio datore di lavoro della nuova attività per evitare possibili incomprensioni o contenziosi e per tutelarsi da eventuali accuse di violazione degli obblighi contrattuali o legali.

nel mondo del pubblico impiego.

La possibilità di conciliare contratto di lavoro dipendente e partita IVA è limitata nel settore del pubblico impiego, dove i dipendenti della Pubblica Amministrazione sono generalmente soggetti all’obbligo di esclusività.

Il lavoratore pubblico è chiamato a dedicarsi interamente all’attività svolta per l’Amministrazione da cui dipende, senza la possibilità di intraprendere attività autonome aprendo la partita IVA. 

Esistono però alcune eccezioni. Ad esempio, determinate categorie di professionisti, come i docenti, possono esercitare anche una libera professione. Al personale docente è consentito, previa autorizzazione, l'esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all'assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l' orario di insegnamento e di servizio.e.

Anche i lavoratori pubblici part-time con un orario inferiore al 50% rispetto all’orario di lavoro previsto per il full-time possono svolgere un’altra attività, sia come lavoratori autonomi sia come dipendenti in aziende private. 

Devono rispettare l’obbligo di non concorrenza e se sono iscritti ad un Albo professionale non possono accettare incarichi presso altre Pubbliche Amministrazioni, neanche se si tratta di rappresentarle in controversie legali.

Se il contratto di lavoro part-time si trasforma successivamente in un contratto subordinato a tempo pieno, i dipendenti pubblici che svolgono attività autonoma sono tenuti a interromperla e a chiudere la partita IVA.

I dipendenti pubblici con un contratto full-time possono ottenere l’autorizzazione dall’Amministrazione per cui lavorano per svolgere un’altra attività, purché vengano rispettate le seguenti condizioni:

  • l’incarico deve essere temporaneo e di natura occasionale;
  • l’attività non deve entrare in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione;
  • le due attività devono essere compatibili in termini di tempo e non interferire con il normale svolgimento delle mansioni pubbliche.

Nel settore pubblico, a differenza di quanto accade nel privato, i dipendenti sono sempre obbligati a comunicare al datore di lavoro la volontà di aprire la partita IVA e devono ricevere relativa autorizzazione. 

Questo obbligo deriva dal fatto che l’Amministrazione ha bisogno di verificare che l’attività autonoma del lavoratore non vada a ledere l’Ente stesso, a causa del ruolo di rilievo che alcuni dipendenti pubblici ricoprono.

È importante sottolineare che l’obbligo di esclusività riguarda esclusivamente i dipendenti della Pubblica Amministrazione. I lavoratori impiegati in aziende partecipate dallo Stato, invece, non sono soggetti a questa restrizione. Per loro valgono le stesse regole previste per i dipendenti del settore privato.

i contributi da versare.

I lavoratori dipendenti che aprono la partita IVA, ad esempio per esplorare opportunità di lavoro flessibile come consulenze o collaborazioni da remoto, percepiscono due redditi separati: il reddito da lavoro dipendente e quello derivante dall’attività autonoma.

Questi soggetti, per l’attività autonoma svolta, sono tenuti a versare i contributi previdenziali all’INPS, iscrivendosi alla gestione di competenza: gestione separata, gestione artigiani o gestione commercianti.

Alla gestione separata devono iscriversi lavoratori autonomi e liberi professionisti per i quali non esiste una Cassa previdenziale dedicata alla loro attività. Il calcolo dei contributi, in questo caso, è piuttosto semplice. Bisogna applicare l’aliquota stabilita dalla legge, che varia di anno in anno, al reddito imponibile derivante dall’attività autonoma.

La gestione artigiani e la gestione commercianti, invece, riguardano coloro che avviano un’attività imprenditoriale o artigianale. Anche per questi soggetti vi è una percentuale di contribuzione stabilita per legge. In più, è previsto il versamento di una somma fissa a prescindere dal reddito: il minimale IVS.

In alcuni casi, i lavoratori dipendenti che hanno la partita IVA possono essere esonerati dall’iscrizione alla gestione commercianti, evitando così il versamento di ulteriori contributi. Per beneficiare di questo esonero devono essere soddisfatte due condizioni principali:

  • il reddito da lavoro dipendente deve essere prevalente rispetto a quello derivante dall’attività autonoma, sia in termini economici che temporali;
  • il contratto di lavoro deve essere a tempo pieno e indeterminato. In alcuni casi, l’INPS può concedere l’esonero anche per coloro che hanno un contratto part-time, ma la scelta dipende dalla valutazione degli  uffici territoriali dell’INPS.

Ora disponi di tutte le informazioni necessarie per valutare la possibilità di aprire la partita IVA, continuando a svolgere il tuo lavoro da dipendente. Ricorda, però, che la normativa fiscale è complessa e non sempre di facile interpretazione. Ti consigliamo di affidarti a un professionista esperto che possa guidarti nelle scelte e aiutarti a gestire al meglio tutti gli aspetti burocratici.