Aumenta il malessere tra i lavoratori, 7 su 10 chiedono alle aziende di preoccuparsi del loro benessere mentale, non solo in ambito lavorativo. L’86% vorrebbe una formazione dedicata.
Le iniziative più diffuse in azienda prevedono welfare per la salute e flessibilità di orari, poi team building, smart working, welfare per famiglia e tempo libero, coaching e mentoring.
L’AI ha un impatto positivo sul benessere in 6 aziende su 10: meno attività ripetitive, supporto immediato, carichi di lavoro ridotti. Ma un terzo dei lavoratori denuncia meno senso di utilità e insicurezza del posto.
L'HR Trends 2025 “Il benessere mentale come priorità per il lavoro del futuro” di Randstad Professional Leaders Search & Selection e ASAG dell’Università Cattolica.
Milano, 8 ottobre 2025 - Il 31% dei lavoratori italiani si sente sempre (o spesso) stanco fin dal mattino all’idea di dover affrontare un altro giorno di lavoro, di nuovo il 31% è “emotivamente esaurito” a causa del suo impiego, il 28% vive in uno stato di stress o ansia eccessiva. Uno su cinque ha tutti questi sintomi insieme, rivelando un alto rischio di burnout. In aggiunta, emergono problemi di coinvolgimento e difficoltà a far sentire la propria voce in azienda: pochi (il 25%) si sentono parte di un gruppo di lavoro aperto, ancora meno (20%) si sentono capiti e accettati e sempre solo il 20% pensa di avere controllo sul suo futuro nell'organizzazione.
Tra i lavoratori italiani il livello di malessere aumenta ancora e supera il livello di guardia: oggi ben 7 su 10 chiedono che le aziende si preoccupino del loro benessere mentale, non solo in ambito lavorativo, ma anche personale. Il tema è sotto la lente degli HR: il 77% delle aziende ci presta almeno in parte attenzione, ma concretamente solo meno della metà (il 45% del totale) ha attivato qualche progetto o strumento per il benessere mentale dei dipendenti. Eppure, chi ha realizzato interventi ha riscontrato effetti positivi, soprattutto sul senso di appartenenza all'azienda (nell’88% dei casi), la qualità del lavoro (85%), la motivazione e produttività (85%), ma anche sulla fidelizzazione delle persone (81%) e l'immagine aziendale (81%).
I programmi sono i più diversi: iniziative di welfare, supporto psicologico, informazione e sensibilizzazione, consulenze con esperti e specialisti, palestre aziendali, menù salutari. Ma anche orari flessibili e smart working, riconoscimenti economici, attività di team building, eventi di aggregazione, perché per gli HR oggi è chiaro che per avere effetti concreti il benessere organizzativo deve essere la premessa di quello mentale.
Sono alcuni risultati dell’HR Trends 2025 “Il benessere mentale come priorità per il lavoro del futuro”, la ricerca che esplora i trend in ambito risorse umane di Randstad Professional Leaders Search & Selection, linea di business specializzata nella ricerca e selezione di middle & senior management, realizzata in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica. Un’indagine quali-quantitativa condotta su un campione di oltre 355 responsabili risorse umane di imprese italiane e 563 lavoratori, che quest’anno ha messo a confronto le loro opinioni sul tema del benessere mentale.
In aiuto del benessere mentale - evidenzia la ricerca - oggi è arrivata l’intelligenza artificiale. Nelle aziende in cui è stata introdotta ha avuto un impatto positivo in 6 casi su 10, soprattutto riducendo attività ripetitive e poco gratificanti, fornendo un aiuto immediato con assistenti virtuali, limitando carichi di lavoro e stress. Anche se un terzo dei lavoratori denuncia invece un impatto negativo, in particolare per un calo del “senso di utilità”, per l’incertezza lavorativa e la riduzione della qualità della formazione.
A questo proposito, i lavoratori si mostrano molto interessati a ottenere formazione sul benessere mentale (la vorrebbe l’86%), un interesse ampiamente sottostimato dagli HR. I direttori del personale stanno aumentando gli investimenti formativi nel 64% delle aziende e progettano sempre più attività anche con finalità ‘sociali’ per i dipendenti, come favorire la conoscenza tra le persone, rafforzare la motivazione, creare ambienti positivi e stimolanti.
“Il benessere mentale oggi è un tema centrale per ogni azienda, che non può più essere sottovalutato - afferma Pia Sgualdino, Head of Randstad Professional Leaders Search & Selection Italia -. Attivare progetti in questo ambito ha ricadute positive sulla qualità del lavoro, la motivazione dei lavoratori e la loro fidelizzazione. Che si tratti di iniziative di welfare, flessibilità, incentivi, spazi per il relax, in ogni caso nessuno strumento, anche il più innovativo, è sufficiente da solo: serve un’organizzazione che favorisca il wellbeing in senso complessivo. La sfida per gli HR è progettare interventi a 360 gradi, supportando le persone senza risultare invadenti in un ambito delicato: bisogna mantenere il giusto equilibrio tra sostegno e rispetto dell’autonomia e della riservatezza, cogliendo i segnali di malessere senza invadere la sfera privata e far percepire l’opportunità di supporto come un’imposizione.”
«Nelle organizzazioni il benessere mentale, le relazioni tra colleghi e la formazione sono ormai riconosciuti come elementi cruciali – afferma Caterina Gozzoli, professoressa di Psicologia della convivenza socio-organizzativa dell’Università Cattolica –. Eppure, la ricerca evidenzia uno scollamento tra quanto le funzioni HR delle aziende dichiarano di aver messo in atto per la qualità della vita organizzativa e quanto i professionisti percepiscono (ansia, senso di esclusione, mancanza di pratiche strutturate a sostegno della collaborazione tra colleghi). Inoltre, l’intelligenza artificiale, che per gli HR è ormai un passaggio obbligato, da molti lavoratori è vista con curiosità e timore perché può alleggerire i carichi e ridurre lo stress, ma rischia di minare il senso di utilità se non accompagnata da percorsi formativi. L’organizzazione si gioca dunque la propria credibilità nella capacità di proporre e monitorare politiche e azioni entro una strategia chiara e condivisa in cui il benessere, la colleganza e la crescita non restino slogan o pezzi sconnessi ma diventino ingredienti tangibili per il miglioramento professionale ed organizzativo».

i dati della ricerca.
benessere mentale.
Oggi 7 lavoratori su 10 (68,5%) ritengono importante che le aziende si preoccupino del loro benessere mentale non solo nell’ambito lavorativo, ma anche in quello personale. Sono d’accordo gli HR (58%) che ritengono il benessere mentale centrale per le aziende, con ritorni positivi prima di tutto nella qualità del lavoro, poi nella motivazione e produttività, nella diminuzione del burnout e dell’assenteismo, nella fidelizzazione, nell’aumento del senso di appartenenza.
Ma cosa stanno facendo le aziende? Circa metà degli HR ha attivato strumenti o progetti per il benessere dei propri dipendenti (il 45,4%), mentre il 26,7% li ha solo pianificati. Nella percezione dei lavoratori, sono molti meno: solo il 34% li ha attivati e il 14% pianificati. E le iniziative in campo sono diverse. Per HR e candidati le più diffuse sono di gran lunga sono attività di welfare per la salute e flessibilità oraria (attivi in più di 6 aziende su 10), poi vengono team building, flessibilità nei luoghi di lavoro, welfare per famiglia e tempo libero, percorsi di coaching e mentoring, monitoraggio del benessere tramite survey, feedback e analisi periodiche.
Nello specifico, questo si traduce nelle iniziative più disparate: oltre ai più classici servizi di supporto psicologico, alle convenzioni con palestre e allo smart working, si segnalano attività di volontariato aziendale, app aziendali per creare gruppi e lanciare sfide nello sport, ruoli di Chief Happiness Officer per creare un ambiente sereno e produttivo, persino incontri allo stadio con allenatori sportivi per migliorare il lavoro di squadra, corsi di judo per imparare a gestire i conflitti, corsi di improvvisazione teatrale per migliorare le relazioni tra colleghi, il coro aziendale per stimolare lo spirito di appartenenza e il divertimento.
Gli impatti di progetti di benessere mentale sono reali. Per gli HR hanno avuto effetti soprattutto sul senso di appartenenza all'azienda, la fidelizzazione, il miglioramento dell'immagine aziendale e la qualità del lavoro svolto. Mentre per i lavoratori sulla motivazione e produttività, sul senso di appartenenza all'azienda, la qualità del lavoro e l’assunzione di responsabilità.
l'AI per il benessere.
L’HR Trends rivela che circa metà delle aziende italiane ha introdotto l’AI nei flussi di lavoro, per lo più in maniera non strutturata. Secondo gli HR, infatti, è stata inserita in modo strutturato nel 12,4% delle organizzazioni e in modo non strutturato nel 36,8%; secondo i lavoratori in modo strutturato nel 6,4%, non strutturato nel 40,8%. L’AI è utilizzata principalmente per creatività, traduzioni, analisi dati e supporto decisionale, poi anche formazione, automazione operativa, programmazione e IT, risorse umane, produzione, logistica e manutenzione.
Circa metà delle aziende che hanno introdotto l’AI (il 49% del totale, in crescita rispetto al 36% dello scorso anno) la usa nei dipartimenti HR, il 24% del totale (l’anno scorso era l’8%). Nelle risorse umane in larga parte è usata per la redazione di testi tecnici (nell’80% delle aziende), poi per automatizzare procedure amministrative (26%), screening CV (22%), analisi retribuzioni (16%), analisi della cultura e clima (16%), analisi delle prestazioni (14,5%). Le principali difficoltà sono la mancanza di competenze necessarie a gestirla (60%) e la preoccupazione sulla sicurezza e protezione di dati (50%).
L’AI ha un impatto generalmente positivo sul benessere dei lavoratori (per il 62% degli HR e 65% dei lavoratori), sebbene più di un terzo degli intervistati lo ritenga negativo. I principali effetti positivi sono la riduzione delle attività ripetitive e poco gratificanti, ma anche la possibilità di ricevere un aiuto immediato con assistenti virtuali e la diminuzione del carico di lavoro. Gli impatti negativi sono meno senso di utilità e coinvolgimento al lavoro e, soprattutto tra i lavoratori, insicurezza lavorativa, seguita da riduzione della qualità della formazione e apprendimento meno personalizzato.
C’è accordo tra HR e lavoratori sul fatto che nei prossimi 5 anni l’AI avrà il maggiore impatto positivo soprattutto su attività soggette a forte regolamentazione legale e su processi decisionali complessi. Su una cosa però non sono d’accordo: per gli HR nella gestione delle persone e delle relazioni umane l’impatto sarà prevalentemente positivo, per i lavoratori negativo. Per tutti, non sono delegabili in alcun modo all’AI alcune attività umane: quelle ad alta componente emotiva, la leadership e negoziazione, la gestione delle persone e le relazioni, la creatività artistica e culturale.
la formazione.
Secondo gli HR italiani circa due terzi delle aziende (64%) stanno aumentando gli investimenti in formazione; per i lavoratori sono molti di meno, appena il 26%. Gli obiettivi delle attività di formazione sono soprattutto quelli di sviluppare soft skills (per il 72% degli HR), sviluppare hard skills (61%), preparare ai cambiamenti aziendali e tecnologici (56%), rafforzare il senso di appartenenza e il coinvolgimento dei dipendenti /52%), favorire la collaborazione e lo scambio di conoscenze tra colleghi (45%). Una conferma viene dai temi di formazione prioritari: soft skills (comunicazione, problem solving, pensiero critico), competenze tecniche e specialistiche, poi gestione del tempo, delle priorità e dell’efficienza operativa, digitalizzazione e uso delle nuove tecnologie.
I direttori del personale italiani vedono nella formazione oggi anche finalità di tipo ‘sociale’: favorire la conoscenza tra le persone, rafforzare la motivazione, creare un ambiente di lavoro positivo e stimolante. Tutti obiettivi importanti per sviluppare e rafforzare quelle attitudini connesse all’esperienza e alla sensibilità, che non sono delegabili all’AI.
Il 68% degli HR pensa che nella sua azienda oggi sia rilevante la formazione sul benessere mentale, ma i lavoratori non sono d’accordo: lo è solo nel 39% dei casi. E in questo ambito i Direttori personale sottostimano l’interesse dei dipendenti per la formazione: pensano sia rilevante solo il 14% di loro, invece, lo ritiene il 39% dei lavoratori. Un'ulteriore conferma dell’importanza di investire in questo campo.
HR Trends 2025
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