Solo un’azienda italiana su tre riconosce un buon livello di benessere e serenità.

Le principali cause delle grandi dimissioni: insoddisfazione, demotivazione e mancanza di obiettivi. Per chi resta in azienda, effetti su carico di lavoro e motivazione. 

Per 1 Responsabile Risorse Umane su 2 aumenta la rilevanza del suo ruolo in azienda.

I risultati dell’HR Trends & Salary Survey di Randstad Professionals.

 

In Italia, il lavoro sta subendo una vera e propria trasformazione, che riguarda il suo stesso significato: in particolare tra i più giovani, non rappresenta solo una necessità funzionale, ma un progetto di vita a 360 gradi, che deve generare anche benessere emotivo. Eppure, solo 1 Direttore HR su 3 (il 34% del totale) riconosce un buon livello di benessere nella sua organizzazione, in calo rispetto al 2021 (53%) e al 2020 (47%). Il livello maggiore di serenità si riscontra tra i più senior, come Baby Boomers (42%) e Generazione-X (33%), mentre sono più critici Millennials (28%) e Generazione-Z (23%).

Se le loro esigenze non vengono soddisfatte, i lavoratori sono pronti a lasciare l’azienda. Infatti, non si arresta il fenomeno delle “great resignation”, con il 44% delle organizzazioni che registra un aumento di dimissioni volontarie negli ultimi 12-18 mesi: nel 76% dei casi si tratta di Millennials, meno tra la Generazione-X (28%) e dalla Gen-Z (27%), solo nel 2% dei casi tra Baby Boomers. Fra le cause principali ci sono l’insoddisfazione, la demotivazione e la mancanza di obiettivi. In metà delle organizzazioni, le dimissioni incidono su livelli di performance aziendale e sul clima interno.

I responsabili HR sono consapevoli di questi cambiamenti e della loro funzione di mediazione tra gli interessi aziendali e le esigenze dei lavoratori. Quasi metà (il 49% del totale) stima che la sua rilevanza in azienda aumenterà, anche se si evidenzia un calo della soddisfazione per il proprio ruolo (il 53% è soddisfatto, rispetto al 60% del 2021).

Sono alcuni risultati dell'HR Trends & Salary Survey, la ricerca realizzata di Randstad Professionals - la divisione di Randstad specializzata in ricerca e selezione di middle e senior management - in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica, con l’obiettivo di esplorare gli ultimi trend in ambito risorse umane. Si tratta di un’indagine quali-quantitativa, condotta su un campione di 215 responsabili Risorse umane di aziende e 963 lavoratori. 

“In uno scenario generale di profonda trasformazione del senso stesso del lavoro, l’HR assume sempre più il ruolo di ‘mediatore’ tra gli interessi dell’azienda e quelli dei lavoratori, operando su tavoli diversi, le cui priorità e richieste sono mutate sia a causa della pandemia, sia per la transizione generazionale - dichiara Maria Pia Sgualdino, Head Of Randstad Professionals -. Quello dell’HR oggi è ruolo strategico, che richiede specifiche competenze, oltre che un riconoscimento organizzativo, che consenta di operare efficacemente in uno scenario sempre più complesso”. “Il Responsabile Risorse Umane, infatti, oggi ha anche il compito fondamentale di intervenire sul benessere, sia fisico che mentale nell’organizzazione - prosegue Sgualdino -, tema molto sentito, in particolare tra più giovani, che non sono più disposti a scendere a compromessi su richieste di equilibrio tra vita-lavoro e atmosfera di lavoro piacevole. L’HR ha il compito di utilizzare il giusto mix di strumenti, dal welfare, allo smart working, alla creazione di ambienti di lavoro che favoriscano il dialogo e la socializzazione, per favorire il benessere emotivo con strategie differenti tra senior e più giovani”.

“I dati ci dicono che per le persone il benessere al lavoro non può più essere ricondotto e limitato a benefit “aggiuntivi”, spiega Caterina Gozzoli, direttrice dell’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica -. La cultura organizzativa deve riconfigurare il benessere come una dimensione connessa alle pratiche, alla quotidianità, al senso del lavoro, a obiettivi condivisi e condivisibili. Le persone portano il bisogno di sentirsi protagoniste nella quotidianità professionale, di recuperare un senso di compiutezza in ciò che fanno. Questo si collega anche al progressivo venire meno del senso di appartenenza nei confronti dell'organizzazione, con un conseguente impoverimento del patrimonio aziendale. Viene da chiedersi come mai la dimensione del gruppo sia sempre meno menzionata. Questo desiderio di valorizzazione e di contatto, infatti, nella maggior parte dei casi, è declinato in relazione al singolo e al suo rapporto con i vertici. Questi dati ci dicono, implicitamente, di ricordare che c’è una differenza sostanziale tra la valorizzazione delle individualità e la valorizzazione dell’individualismo”.

 

due donne che lavorano ai loro pc

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I dati della ricerca.

Grandi dimissioni e talent retention.

Seppure considerato dai Direttori Risorse Umane un fenomeno più «mediatico» che reale, le grandi dimissioni sono in aumento secondo il 49% degli HR, ma anche secondo il 53% dei candidati. Le motivazioni principali sono l’insoddisfazione per la mancanza di gratificazione (47%), la demotivazione (34%) e la mancanza di obiettivi chiari e condivisi (30%). Non di rado, però, le aziende tendono ad associare il fenomeno alla volontà, in particolare dei giovani, di cogliere nuove opportunità lavorative. In un’organizzazione su due le dimissioni volontarie hanno avuto un impatto significativo sul mantenimento dei livelli di performance, con ripercussioni sul clima interno. L’effetto principale riguarda il carico di lavoro, aumentato per il 32% degli HR (vs 34% dei candidati). Tra le altre conseguenze il desiderio di emulazione (18% vs 15%), e demotivazione (17% vs 19%). 

A fronte del problema, le aziende hanno messo in moto diverse azioni di talent retention, ma le risposte tra responsabili delle Risorse umane e candidati sono discordanti: il 70% degli HR afferma che l’azienda ha cercato di trattenere i talenti, ma solo il 41% dei candidati è d’accordo con l’affermazione. Le principali iniziative di talent retention sono piani per sviluppare le competenze (35%), indagini sul clima interno (29%) e momenti informali di monitoraggio (25%). Per il 27% non è stato introdotto nessun programma. Questo dato si alza nelle risposte dei candidati: il 36%, infatti, afferma che la propria azienda non ha messo in atto alcun piano per trattenere i propri talenti. 

Il benessere.

Tutti gli HR individuano nella flessibilità del modello organizzativo la soluzione principale alla soddisfazione dei dipendenti e alla possibilità di essere in linea con le attese delle nuove risorse. Tuttavia, poco meno di 1 HR su 3 ritiene che le opportunità offerte della propria azienda incontrino pienamente le aspettative dei lavoratori, e la quota scende considerando i più giovani. E solo il 34% delle aziende riconosce un buon livelli di benessere e serenità nella sua organizzazione (era il 53% nel 2021).

Nel dettaglio, gli elementi di benessere garantiti in azienda sono secondo gli HR soprattutto la sicurezza sul posto di lavoro (62%) e la sicurezza del posto di lavoro (57%), il senso di appartenenza e il work-life balance (entrambi al 47%). Elementi simili anche secondo i candidati, tra cui però non figura la sensazione di appartenenza. Secondo sia i responsabili Risorse umane che i candidati le principali fonti di malessere organizzativo sono il sovraccarico di lavoro e la mancanza di obiettivi chiari e condivisi.

Il ruolo dell’HR.

Un Responsabile Risorse Umane su due (49%) è convinto che la rilevanza del suo ruolo aumenterà in futuro, in particolare per la funzione di mediazione che potrà svolgere fra interessi aziendali ed esigenze dei lavoratori, le cui priorità sono mutate sia a causa della pandemia, sia per la transizione generazionale. Il 47% degli HR ritiene che la sua figura rimarrà invariata, mentre solo il 4% ritiene che in futuro sarà meno centrale. Nonostante questo, la quota di HR soddisfatti del proprio ruolo all’interno dell’azienda è in calo rispetto al 2021, benché ancora maggioritaria (57%). Questa tendenza è legata, almeno in parte, allo scostamento tra opportunità offerte dalla propria azienda e aspettative dei lavoratori. 

Attrattività.

Molti HR sottolineano la crescente difficoltà nell’attrarre verso la propria realtà il “candidato giusto”, e in particolare nell’essere attrattivi per le generazioni aziendali più giovani. Infatti, gli intervistati della Gen-Z considerano attrattive solo il 27% delle aziende e i Millennials il 31%, anche se si rileva un aumento dell’attrattività percepita negli ultimi 24 mesi. Le strategie messe in campo dalle aziende per lavorare sul tema riguardano i valori (come etica e sostenibilità), i contenuti (come la solidità economica e i piani di carriera) e le partnership. Nello specifico, la prima leva di attrattività riferita dagli HR risulta essere l’opportunità di crescita (38%), seguito dalla retribuzione adeguata (37%) e il coinvolgimento nella mission aziendale (33%)

Per quanto riguarda i candidati, il 34% degli intervistati ritiene attrattiva la propria azienda. Le leve di attrattività che le aziende dovrebbero introdurre, secondo le risposte spontanee da loro fornite, sono in primis retribuzione adeguata (40%), poi opportunità di crescita (30%), e percorsi di formazione (21%), elemento non menzionato dagli HR.

 

 

HR Trends & Salary Survey.

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